Capitolo 4. Le tracce slave nell'archeologia
4.1. L'archeologia slava in Europa e Asia
Nel 1996 fu pubblicato il libro di un famoso artista russo, il professore di pittura I.S. Glazunov, dal titolo «La Russia crocefissa» [4], nel quale si trova un'interessante sezione dedicata alle pagine meno conosciute dell'archeologia slava. La conclusione di Glazunov può essere riassunta in questo modo: nell'archeologia slava molto è stato celato al pubblico e anche alla società scientifica. Ed evidentemente viene celato volutamente. Alla luce delle nostre ricerche è chiaro quale sia il motivo di questo atteggiamento: perchè l'archeologia spesso smentisce la versione scaligera della storia. Questo avviene in particolare quando i reperti archeologici sono slavi. Proprio l'archeologia slava e le conclusioni che vengono tratte dalle sue scoperte sono argomento tabù nella storia.
I.S. Glazunov rivolse la propria attenzione all'opera quasi dimenticata di un famoso studioso russo del XIX sec., fondatore dell'Università di Tomsk, Vasily Markovich Florinsky. Glazunov scrisse: «Vasily Florinsky visse 65 anni (1834-1899). Terminò l'accademia di medicina e chirurgia. Le eccezionali capacità dello studente non passarono inosservate e dopo pochi anni venne nominato professore. Ma non fu con le nozioni e le abilità mediche che si assicurò l'immortalità. Fu l'archeologia, o meglio l'archeologia comparativa, a diventare il suo destino, la sua insaziabile passione».
L'eccellente studioso cercò e trovò la risposta ad una domanda molto scottante: a quali popoli e a quale razza appartengono LE MIGLIAIA DI ANTICHI TUMOLI sparsi per i vasti spazi della Siberia? La risposta di Florinsky fu chiara e inequivocabile: l’antica popolazione siberiana apparteneva alla razza ariana, più precisamente a quelle genti che nella storia avrebbero poi ricevuto la denominazione di «slavi». Vasily Markovich portò a termine un vastissimo lavoro, confrontando i reperti rinvenuti da Schliemann della città di TROIA, dei territori VENETI ADRIATICI (è riconosciuto e innegabile sia dai nostri storici che da quelli europei che i veneti fossero slavi), dei VENETI DEI BALTICI con i reperti rinvenuti NEI TUMULI NELLA RUSSIA SETTENTRIONALE E MERIDIONALE. La somiglianza emersa dal confronto degli utensili di uso quotidiano, degli ornamenti e delle stoviglie ritrovati sul territorio veneto, cioé slavo, con gli oggetti rinvenuti nei tumuli SIBERIANI è talmente sbalorditiva da non lasciare alcun dubbio» [4], numero 8, pg.211.
Risulta così che l'Anatolia e una parte significativa dell'Europa occidentale nel passato erano abitate da quegli stessi popoli slavi che vivevano in Russia e in Siberia. Il perché è chiaro: sono tutte tracce della grande conquista slava dell'Eurasia, risalente al XIV sec, e che oggi gli storici fanno invece passare come conquista mongola del XIII sec.
In merito ai ritrovamenti di Troia è importante segnalare che Schliemann non ha riportato alla luce la vera, antica città di Troia. Come è dimostrato in «La Gerusalemme dimenticata» (A.T. Fomenko, G.V. Nosovsky) 'Troia' è una delle denominazioni dell'antica Tsargrad (“la città imperiale”, n.d.t.) che si trova sul Bosforo, a circa 30 km dall'attuale Istanbul. Quello che ne rimane oggi è la fortezza di Yoros, sulla costa asiatica del Bosforo, nel punto in cui le sue acque confluiscono con quelle del Mar Nero (cfr. «La Gerusalemme dimenticata», «Impero», G.V. Nosovsky, A.T. Fomenko). I ruderi di Troia ritrovati da Schliemann a nostro parere non hanno nulla a che fare con la vera città di Troia degli annali. Apparterrebbero più probabilmente a uno degli antichi centri abitati dell'Anatolia del XIV-XV sec., che dopo la conquista slava venne naturalmente popolato dagli slavi.
I.S. Glazunov continuava: «Florinsky scrisse che gli slavi adriatici o italici erano veneti, facenti parte delle popolazioni troiane che, abbandonata Troia… fondarono Venezia e anche Patava (da 'pta', 'uccello' in russo, l'attuale Padova)» [4], numero 8, pg.211.
La città di Venezia, situata in parte direttamente sul mare, è sorretta da antichi pilastri lignei conficcati nel fondale del mare. Questi pilastri hanno già diverse centinaia di anni, di che materiale potrebbero essere? Secondo alcuni dati sono di larice siberiano, il cui legno possiede una peculiarità unica: non marcisce nell'acqua. Ammettendo che Venezia si regga su pali di larice siberiano, è spontaneo chiedersi da dove possa essere stato importato, visto che notoriamente cresce solo in Siberia. Come avrebbero mai potuto, i veneziani, venirne a conoscenza? Inltre, se una tale quantità di legno siberiano fu effettivamente consegnata a Venezia dalla Siberia, significa che i rapporti commerciali fra questi due luoghi erano ben sviluppati. La storia scaligera guarda ai rapporti fra Venezia e la Siberia come a qualcosa di assurdo, mentre la nostra ricostruzione li concepisce come assolutamente naturali.
I.S. Glazunov scrisse inoltre: «Ricordo che in Gemania… dove lavorai alla realizzazione delle immagini di scena del «Principe Igor» e della «Dama di picche» venni irresistibilmente attratto dalla famosa isola di Rügen, sulla quale si trovava il glorioso tempio di Arkona, un antichissimo centro religioso, se volete, la Mecca dei nostri antenati, degli slavi baltici. I testi di storia sovietici, esattamente come del resto gli stessi storici, probabilmente avendo i loro motivi, dimenticarono mille anni di soggiorno dei nostri avi sulle coste del Baltico» [4], numero 8, pg.213.
Alla luce delle nostre ricerche di cronologia è piuttosto evidente il motivo per cui gli storici e gli archeologi non amano parlare della presenza degli slavi nell'Europa occidentale, in Anatolia, in Africa, etc. Nonostante ci abbiano covinto, e abbiano convinto in primo luogo se stessi, che la presenza degli slavi in quei territori ci sia stata, 'molto molto tempo fa', alcuni di loro capiscono che riportare i reperti slavi in Europa a un passato troppo remoto è ARTIFICIALE e NON VERITIERO, che effettivamente molti di questi reperti sono EVIDENTEMENTE MEDIEVALI. Per questo gli archeologi cercano il più possibile di evitare questo tema dolente.
I.S. Glazunov continuò ancora: «Trovandomi sull'isola di Rügen, venni a sapere di alcuni scavi e mi affrettai ad andare a conoscere i giovani archeologi e gli studenti dell'Università di Berlino… Uno di loro, scuotendo la testa, mi disse: «Un gran peccato che sia arrivato tardi!».
«Tardi per cosa?» chiesi sorpreso. Il ragazzo mi raccontò che alcuni giorni prima avevano avevano portato alla luce un'IMBARCAZIONE SLAVA IN LEGNO DEL IX SEC. (la datazione IX sec. è ovviamente scaligera, n.d.a.), MA SICCOME LA RITENNERO INUTILE LA RISOTTERRARONO.
. «Come? … Perchè lo avete fatto?» al che il giovane archeologo replicò: «E cosa ce ne facevamo?» «Ma come! – ero esterrefatto – avreste potuto inviarlo a Mosca!», mi guardò con i suoi occhi grigi, vichinghi, voltò lo sguardo e commentò: «A Mosca non interessa». «Ma come! Abbiamo un eccellente storico e archeologo, il professor Rybakov». Il vichingo aggrottò la fronte abbronzata: «Conosciamo il compagno Rybakov per sentito dire, lo nomina spesso il nostro responsabile, uno studioso di fama mondiale, il compagno Herman. Noi siamo qui per scavare, tutti i ritrovamenti vanno riportati al professore». In uno stato di profonda agitazione chiesi al mio nuovo conoscente quali erano stati i ritrovamenti più interessanti della loro spedizione. Il discendente dei teutoni fece spallucce e pronunciò stizzito una frase che si impressionò nella mia memoria per sempre: «QUI FINO AL MAGMA E' TUTTO SLAVO!» [4], numero 8, pg.214-215.
Sui territori della Germania si sono conservate fino ad ora le tracce delle popolazioni autoctone originarie, cioé dei serbi di Lusazia. «La lingua lusaziana (serbo-lusaziana) è una lingua slava occidentale. Diffuso fra i serbi lusaziani nelle regioni di Dresda e Cottbus della Germania orientle (Lusazia). I parlanti sono circa 100 000» [8], pg.277. Il Dizionario Enciclopedico di Brockhaus ed Efron a questa voce dice: «I lusazi o serbi di lusazia (anche detti sorbi e vendi) sono quanto poco rimane delle tribù dei serbi polabi, che un tempo furono forti e numerosi, e la cui lingua era diffusa fino alle rive dell'Odra… Parte di questa popolazione si è estinta, parte si è del tutto germanizzata. I pochi rappresentanti rimasti sopravvivono in villaggi e paesini della Lusazia, mantenendo in condizioni piuttosto misere la propria lingua e la coscienza della propria provenienza slava… è quasi impossibile determinare con esattezza il numero dei lusazi, poichè molti di loro reputano più conveniente farsi passare per tedeschi… secondo dati recenti (si parla dell'inizio del XX sec., n.d.a.) i lusazi delle montagne sono circa 96 000 (52000 in Sassonia e 44000 in Prussia), mentre quelli delle valli fino a 40 000» [24], articolo 'Lusazi'.
Poi I.S. Glazunov riportava la conversazione avuta a Berlino con il vice del professor Herman, il quale riferì a Glazunov quanto segue: «Posso dirle una cosa, che nella Repubblica Democratica Tedesca esiste un enorme deposito pieno di REPERTI ARCHEOLOGICI SLAVI E ANTICHISSIMI LIBRI SCRITTI IN SLAVO ARCAICO. Dopo la fine della guerra vi abbiamo riposto moltissimi ritrovamenti e FINO AD ORA NESSUNO CI HA MESSO MANO» [4], numero 8, pg.215.
La domanda di I.S. Glazunov riguardante la presenza di testi slavi incisi su tavolette di legno ricevette la seguente risposta: «Può darsi che ci siano… MA NESSUNO STUDIOSO, NE VOSTRO NE NOSTRO HA ANCORA DIMOSTRATO INTERESSE PER LA COSA» [4], numero 8, pg.215. Che fine avrà fatto questo deposito di reperti slavi? Non sarà «per puro caso» andato a fuoco?
I reperti archeologici slavi trovati in Germania sono difficilmente riportabili molto indietro nei secoli, visto che sul territorio tedesco vivono TUTTORA ciò che rimane delle popolazioni slave.
Ecco come lo «scrittore e pubblicista Dmitry Anatolevich Zhukov, famoso per il suo interesse verso la cultura russa e slava antica» si rivolse a I.S. Glazunov: «Non hai fatto visita… ai superstiti dell'ultima tribù slava dei sorbi? … Tutto quello che è rimasto in Germania degli slavi è una piccola tribù di sorbi. Nella Repubblica Democratica Tedesca vengono rispettati».
Alcuni studiosi cercano di trovare un senso alla diffusione in tutta l'Eurasia di reperti simili fra loro e risalenti all'epoca slava. Cercano di identificare un angolo nella storiografia scaligera che possa ospitarli tutti, e siccome tutto il medioevo è già occupato dalla supremazia di altri popoli, per gli slavi bisogna ricorrere a tempi più remoti e formulare teorie di certi «antichi protoslavi». Secondo noi tutti questi reperti risalgono ai conquistatori slavi che nel XIV sec. si avviarono alla volta dell'Eurasia e dell'Africa settentrionale, e nel XV sec. verso l'America (cfr. «La conquista slava del mondo» e «La Rus' biblica», A.T. Fomenko, G.V. Nosovsky).
4.2. La presenza slava in Europa è testimoniata dalle fonti fino alla fine del XVIII sec.
Come già detto, l'eminente studioso russo del XVIII-XIX sec. Aleksandr Dmitrevich Chertkov raccolse una vastissima biblioteca che «fino alla creazione del settore 'Rossica' nella biblioteca pubblica imperiale costituì l'UNICA raccolta in Russia di opere sulla Rus' e sulle popolazioni slave» [23].
Nel 1838 e nel 1848 Chertakov pubblicò alcune descrizioni della propria biblioteca. Accompagnò l'elenco delle opere contenutevi con brevi commenti didascalici. Ce ne serviamo per rendere chiaro al lettore che cosa si scriveva della storia russa fino al DICIOTTESIMO E ADDIRITTURA DICIANNOVESIMO secolo.
Per esempio, a proposito dell'opera di F. Moroshkin «Sul significato del nome dei rusi e degli slavi» (Mosca, 1840), Chertkov scrisse: «L'autore dimostrò che oltre alla Rus' di Kiev c'erano ANCHE LE RUSSIE: a) di Germania, b) di Moravia, c) di Podunavlje (dove vivevano i Ruteni all'epoca del poeta romano Luciano), d) adriatica» [2], pg.60.
Riguardo all'opera italiana [25] scrisse: «L'autore sostiene che i Macedoni, i Traci, antichi abitanti dell'Illiria, i Daci e i Geti fossero SLAVI, che NOVGOROD FOSSE PIU' VASTA DI ROMA (XVI sec.), che molti IMPERATORI ROMANI AVESSERO ORIGINI SLAVE» [2], pg.82.
Infine, secondo la breve rassegna di Chertkov, fra i libri pubblicati in Germania fra il 1575 e il 1842 più di VENTICINQUE attestavano che su quei territori prima vivessero popolazioni slave. Nei commenti a questi testi Chertkov scrisse per esempio: «I serbi… si espansero sui territori dell'attuale Sassonia e già nel quinto secolo possedevano tutte le terre lungo le coste del Baltico, da Amburgo fino ai governatorati baltici… LIPSIA, DOLICH, ROKHLICH, DRESDA sono state fondate da loro» [2], pg.146.
Grazie agli sforzi degli storici della scuola scaligera tutte queste numerose opere e testimonianze furono eliminate dalla circolazione e dimenticate, sostituite dalla sola e piuttosto dubbia Cronaca di Radziwill. Persuasero l'opinione pubblica che l'unica vera fonte fosse il Manoscritto Nestoriano, del quale esistono versioni diverse ma tutte riportanti più o meno gli stessi fatti. Fu così che alla base della storia russa contemporanea fu posta una sola fonte, che gli stessi storici compilarono modificando alla bisogna le antiche cronache (cfr. «La Nuova Cronologia della Rus'» e «La Rus' dell'Orda», G.V. Nosovsky, A.T. Fomenko).