Сronologia 3
di Anatoly T.Fomenko

PARTE PRIMA - LA DATAZIONE DELL'ALMAGESTO
di A. T. Fomenko, V. V. Kalashnikov e G. V. Nosovskiy.

testo tradotto in italiano da Claudio dell'Orda

This Italian translation of the fragments of the 3-st volume by Anatoly Fomenko was done by Claudio dell'Orda from the English edition: 
A. T. Fomenko, V. V. Kalashnikov, G. V. Nosovskiy
History: " Fiction or Science?" Astronomical methods as applied to chronology. Ptolemy's Almagest. Tycho Brahe. Copernicus.
The Egyptian zodiacs.

CAPITOLO 11
Gli altri problemi e ipotesi che nascono dalla datazione del catalogo dell’Almagesto
di A. T. Fomenko e G. V. Nosovskiy.

1. Alcune stranezza ausiliarie dell’Almagesto.

1.1. Con quali coordinate fu compilato inizialmente il catalogo dell’Almagesto?

Come sappiamo bene, una delle parti più importanti dell'Almagesto è il catalogo stellare che contiene circa 1000 voci, con l'indicazione della latitudine e longitudine dell'eclittica per ciascuna di esse. N. A. Morozov (in [544], Volume 4) ha espresso l'opinione che il catalogo dell'Almagesto sia stato inizialmente compilato nelle ovvie coordinate equatoriali, proprio come i cataloghi moderni, e che poi sia stato convertito in un catalogo con le coordinate dell'eclittica a seguito di alcuni calcoli. La questione è che gli astronomi medievali consideravano le coordinate dell'eclittica come qualcosa di “eterno”, credevano che le loro latitudini rimanessero costanti e che la crescita delle coordinate guidata dalla precessione avvenisse a una frequenza immutabile. Quando fu scoperto che anche le coordinate dell'eclittica cambiano nel corso del tempo, il loro “vantaggio” cessò di esistere.

Le vestigia della conversione delle coordinate equatoriali nelle equivalenti coordinate dell'eclittiche menzionata sopra può essere trovata con diversi metodi. Il compilatore del catalogo dell'Almagesto descrive prima le stelle dell'emisfero boreale, a cominciare dalle costellazioni più a nord e procedendo lentamente verso sud. Sarebbe quindi ovvio supporre che abbia iniziato il suo catalogo con la descrizione della costellazione situata al centro dell'emisfero, vale a dire nel polo dell'eclittica. Qual è la costellazione dell'emisfero  settentrionale ad essere la più vicina al polo dell'eclittica? È la costellazione del Drago. Negli ultimi 2000 anni, la posizione del polo dell'eclittica è cambiata solo leggermente (a seguito delle fluttuazioni dell'eclittica) rispetto alle dimensioni delle costellazioni. Pertanto, il compilatore del catalogo, qualunque fosse la sua posizione cronologica sull'asse temporale tra oggi e l'epoca della “antica” Grecia, avrebbe dovuto iniziare il suo catalogo con la costellazione del Drago. Stranamente, per qualche insolita ragione non è così per l'Almagesto, il cui catalogo inizia con l'Orsa Minore e non con il Drago ([704], pagina 224). Il compilatore procede a descrivere le stelle dell'Orsa Maggiore e solo allora elenca quelle del Drago, nominando questa costellazione nientemeno che come terza! Vedere la Figura 2.1 nel Capitolo 2, che descrive tutte e 48 le costellazioni descritte nell'Almagesto. Nella Figura 2.13 del Capitolo 2 possiamo vedere l'ordine delle costellazioni come elencate nell'Almagesto. Questo ordine è piuttosto strano.


Figura 11.1.
Il moto del Polo Nord attorno al polo dell'eclittica a causa della precessione.
La costellazione del Drago è situato al Polo Nord
del sistema delle coordinate dell'eclittica.

Tutto va a posto una volta tornati al sistema delle coordinate equatoriali. La questione è che ci fu davvero un intervallo storico temporale in cui l'Orsa Minore era la costellazione più vicina al polo, ovvero si trovava al centro del sistema delle coordinate equatoriali. Quindi, il compilatore del catalogo di fatto ci mostra quest'ultima versione iniziale, cominciando l'elenco con le stelle dell'Orsa Minore. Perciò, il catalogo dell'Almagesto inizia con il polo del sistema delle coordinate equatoriali (vedere la Figura 11.1).

A questo proposito N. A. Morozov scrisse quanto segue: “In questo caso tuttavia, perché non ha lasciato da soli i valori equatoriali effettivi, come si fa in tutti i cataloghi stellari moderni, ma li ha convertiti nelle latitudini e longitudini dell'eclittica con un metodo grafico molto laborioso? ... Il risultato è stato un inevitabile errore secondario che ha compromesso il valore del catalogo in generale ... L'enorme quantità di lavoro che l'autore ha dovuto compiere per convertire le coordinate delle “stelle immobili” nelle coordinate dell'eclittica dai valori equatoriali iniziali ... ha creato uno spreco esorbitante e sembra essere così palesemente dannoso per la precisione astronomica, che uno inizia involontariamente a cercare un ulteriore motivo dietro a tutto questo, trovando solo due possibilità: il desiderio vano di rendere eterno il catalogo (che a quanto pare non era possibile a causa delle longitudini), oppure il deliberato sforzo di nascondere il periodo di tempo in cui il catalogo venne compilato, visto che prima di Newton e Laplace le latitudini dell'eclittica erano ritenute immutabili ...” ([544], Volume 4, pagina 201).

Questo ci porta a un'altra ovvia domanda. Siccome la posizione del Polo Nord tra le costellazioni si altera visibilmente con il passare del tempo, conoscendo le leggi a cui si conforma questa alterazione, è possibile usare questa informazione per datare il catalogo dell'Almagesto?

 

 

1.2. La stella polare come prima stella del catalogo dell’Almagesto.

Il catalogo dell'Almagesto inizia con la stella polare. In un primo momento sembra perfettamente ovvio. Infatti, dato che il catalogo elenca le stelle dell'Emisfero Boreale, è naturale che il compilatore abbia iniziato il suo elenco di stelle nelle coordinate equatoriali, dalla stella più vicina al centro dell'emisfero, ovvero al polo. Tuttavia, se dovessimo considerare questo problema con più attenzione, giungeremmo a una serie di domande che ci lascerebbero perplessi.

La moderna cronologia scaligeriana cerca di convincerci che l'Almagesto fu compilato intorno al II secolo d.C., o persino un po' prima sotto Ipparco (ovvero nel presunto II secolo a.C.). È abbastanza facile calcolare che la costellazione dell'Orsa Minore è quella più vicino al Polo Nord tra tutte le costellazioni elencate da Tolomeo, e che non ci sono state delle alterazioni significative nella sua disposizione lungo l'intervallo storico, ossia negli ultimi 2.500 anni. Inoltre, è anchesi facile calcolare qual era la stella dell'Orsa Minore più vicina al polo attorno all'inizio della nuova era, che è quando si presume che l'Almagesto sia stato compilato. E' risultato che questa stella era β Ursae Minoris. Inoltre, nell'Almagesto viene segnata come una stella di magnitudine due, che la rende più luminosa della Stella Polare, contrassegnata nel libro come una stella di magnitudine tre e quindi più debole di β UMi.


Figura 11.2.
La posizione delle stelle Alfa e Beta Ursae Minoris
in relazione al polo per il II secolo d.C..
Frammento della carta stellare di Bode che compilò
nel XVIII secolo secondo le indicazioni dell'Almagesto

Tra l'altro, occorre notare che non ci sono i nomi moderne delle stelle nell'Almagesto (tipo Alfa, Beta, ecc.). Tolomeo localizza le stelle secondo la loro disposizione nella figura della costellazione e tramite le loro coordinate. Facciamo notare che in realtà le magnitudini di Alfa e Beta Ursae Minoris sono praticamente identiche, vale a dire che secondo gli odierni dati fotometrici la magnitudine di Alfa è pari a 2.1, mentre quella di Beta 2.2, per cui la prima è un po' più luminosa della seconda. Tuttavia, Tolomeo era dell'opinione opposta e credeva che Alfa fosse più fioca di Beta ([1339], pagina 51, Cat. 2).

I calcoli dimostrano che nel II secolo d.C. la distanza tra il Polo Nord e β Ursae Minoris era più o meno pari a 8 gradi, mentre l'odierna Stella Polare, ovvero α Ursae Minoris, era situata a una distanza di 12 gradi dal polo. Pertanto, nel II secolo d.C. la Stella Polare era molto più lontana dal polo che β Ursae Minoris. La disposizione di queste stelle nel II secolo d.C. viene mostrata nella Figura 11.2, che fa parte della carta stellare compilata dal famoso astronomo Bode in conformità con il catalogo dell'Almagesto. Le posizioni delle stelle e delle costellazioni sono state ovviamente calcolate e indicate per il II secolo d.C., poiché sembra che Bode abbia accettato la datazione scaligeriana della vita del “antico” Tolomeo.

Inoltre, la stella Beta si trova al centro del corpo dell'Orsa Minore, mentre l'Alfa è la stella che si trova sulla punta della coda della costellazione, vedere la Figura 11.2. Così è esattamente come sono descritte le posizioni di queste stelle nell'Almagesto di Tolomeo. La Stella Polare, ovvero la moderna Alfa, è stata localizzata da Tolomeo come “la stella sulla punta della coda” ([1339], pagina 27, anche [704], pagina 224). Per quanto riguarda Beta, Tolomeo la descrive come “la stella più meridionale della parte posteriore” ([1339], pagina 27) oppure come “la stella successiva [dopo Alfa - l'autore] sulla coda” ([704], pagina 224; vedere anche il frammento del grafico di Bode nella Figura. 11.2). Come possiamo chiaramente vedere, Beta si trova vicino al centro e alla schiena della figura, per cui sarebbe anche vicina alla parte superiore dell'intera figura, qualora girassimo l'Orsa Minore in modo che “stia in piedi sulle sue zampe”. Ora riportiamo una tabella contenente un breve riassunto delle considerazioni sopra citate.

 

 

La Stella Polare, ovvero l’odierna α Ursae Minoris

L’odierna β Ursae Minoris

1. Nell'Almagesto è' stata classificata come una stella del terzo ordine di magnitudine, che la rende più debole di Beta. In realtà, le loro magnitudini sono quasi uguali, vedi sopra. 1. Nell'Almagesto è stata classificata come una stella del secondo ordine di magnitudine, dal momento che è una delle due stelle più luminose della costellazione. Infatti, solo Beta e Gamma sono state classificate da Tolomeo come stelle del secondo ordine di magnitudine.
2. Nel II secolo d.C. la Stella Polare si trovava a una considerevole distanza dal polo, vale a dire circa 12 gradi. 2. Nel II secolo d.C. Beta era più vicina al polo di Alfa, la quale si trovava a una distanza di circa 8 gradi.
3. La Stella Polare nell'Almagesto viene descritta come “la stella sulla punta della coda”. 3. Beta è sopra la schiena dell'Orsa Minore; si trova proprio al centro della figura della costellazione.

 

 

Dopo aver confrontato queste due colonne, ammettiamo di credere nell'impossibilità psicologica che un catalogo risalente al II secolo d.C. possa iniziare con la Stella Polare, dal momento che c'è ovviamente un candidato migliore, vale a dire la stella Beta della costellazione.

N. A. Morozov aveva perfettamente ragione nell’affermare quanto segue: “Come può essere vero che qualcuno che visse nel secondo o addirittura nel terzo secolo, mentre stava elencando le stelle da nord a sud possa avere iniziato la lista delle stelle dell'Orsa Minore con quella più lontana dal polo e situata sulla coda della costellazione, e non dalla stella al centro, quella più vicina al polo?” ([544], Volume 4, pagina 202). La situazione diventerebbe ancora più strana se supponessimo che il catalogo stellare sia stato compilato da Ipparco nel presunto II secolo a.C.


Figura 11.3.
Il Polo Nord si sposta praticamente verso Alpha Ursae Minoris,
l'odierna Stella Polare, allontanandosi da Beta.
La posizione iniziale fornita per il Polo Nord (N) è il II secolo d.C.

Tuttavia, tutto cambierebbe all'istante e ogni stranezza scomparirebbe, se abbandonassimo l'ipotesi che l'Almagesto fu compilato intorno all'inizio della nuova era. Vediamo se ci sono delle eventuali epoche in cui sarebbe perfettamente normale che il compilatore possa iniziare il catalogo con la Stella Polare. Nella Figura 11.3 si vede il Polo Nord (N), il polo dell'eclittica (P), Alpha e Beta Ursae Minoris, come pure la direzione della rotazione del Polo Nord attorno al polo dell'eclittica. Per il momento ignoriamo le oscillazioni minori dell'eclittica. È perfettamente chiaro che la situazione si altera nel tempo. Vale a dire che la stella Beta si allontana dal polo, mentre la stella Alfa si muove nella direzione opposta. Guardando la Figura 11.3 diventa molto evidente che il Polo Nord si muove verso Alfa, ovvero la Stella Polare, e si allontana da Beta. Nella Figura 11.3 viene mostrata anche la posizione iniziale del Polo Nord (N) nel II secolo d.C. Il polo (N) ruota attorno al polo dell'eclittica al ritmo di circa un grado per secolo (ovviamente, la stima è piuttosto approssimativa).

Ora abbiamo un'idea generale del periodo di tempo impiegato dal Polo Nord per avvicinarsi di più alla Stella Polare rispetto a Beta. Non ci interessava ottenere dei calcoli precisi in questo caso, poiché non lo consideriamo essere un metodo importante per la datazione del catalogo; le considerazioni che stiamo esprimendo ora sono di natura ausiliaria. Una stima approssimativa dimostra che 7-9 secoli più tardi (contati dal II secolo d.C.), la stella Alfa diventa davvero la più vicina al Polo Nord. Pertanto abbiamo preparato la seguente tabella comparativa per le stelle Alfa e Beta, che copre il periodo tra il IX-XI secolo d.C. e i nostri giorni.

 

La Stella Polare (Alfa)

La stella Beta

1. E' la stella dell'Orsa Minore più vicina al Polo Nord. 1. Si trova a una distanza maggiore dal Polo Nord di Alfa.
2. La coda è la parte della figura dell'Orsa Minore che si trova più vicina al polo nord. Vedere la Figura 11.3 e la carta stellare di Bode. 2. Il corpo dell'Orsa Minore, che comprende Beta, si allontana dal polo nord.
3. Alfa è più luminosa di Beta. La luminosità effettiva di Alfa è pari a 2.1 (come da misure fotometriche). Alfa è la stella più brillante dell'Orsa Minore. 3. La luminosità effettiva di Beta equivale a 2.2 (come da misurazioni fotometriche). Pertanto Beta è più fioca di Alfa, sebbene Tolomeo affermi il contrario.

 

È perfettamente ovvio che qualsiasi osservatore che compili il catalogo nel lasso di tempo tra il IX secolo d.C. e i nostri giorni, molto probabilmente sceglierebbe Alfa come prima stella del suo elenco, e questo è precisamente ciò che fece il compilatore dell'Almagesto. Per inciso, nel XV-XVI secolo, che è il periodo in cui i manoscritti dell'Almagesto sono stati pubblicati più attivamente, l'odierna Stella Polare era già quella più vicina al Polo Nord: la distanza tra i due era pari a soli 4 gradi. Non c'era nessuna stella più vicina. Nel 1900 la distanza tra l'odierna stella polare e il polo era pari a 1 grado 47 minuti, mentre nel 2100 sarà uguale a 28". Dopodiché, la distanza inizierà a crescere.

Per cui, iniziando con la stella polare il compilatore del catalogo dell'Almagesto ci ha fornito alcuni dati sul periodo delle sue osservazioni, che non possono precedere l'epoca del X-XI secolo d.C.

 

 

1.3. Le stranezze inerenti all'edizione in latino (il presunto 1537) e in greco (il presunto 1538) dell’Almagesto.
L'edizione latina del presunto 1537 conservata a Colonia e l'edizione greca del presunto 1538 conservata a Basilea, sono considerate le edizioni medievali più importanti dell'Almagesto ([1024]). Vedere anche l'elenco delle versioni stampate dell'Almagesto in [1024]. Il frontespizio dell'edizione latina ci dice esplicitamente che si trattava della “prima”, vedere le Figure 11.4 e 11.5. Leggiamo quanto segue (Figura 11.5):

Nunc PRIMUM edita, Interprete

Georgio Trapezuntio.


Figura 11.4.

Il frontespizio di un'edizione latina dell'Almagesto,
che presumibilmente risale al 1537.

Figura 11.5.
Ingrandimento di una parte dell'iscrizione sul frontespizio dell'edizione
che presumibilmente risale al 1537.

 

 

 

 

 

 

 

Questo ci porta a una domanda perfettamente giustificata. Quanto sono affidabili le datazioni dei manoscritti che sono serviti da prototipi per l'edizione del presunto 1528 (Trebisonda, n. 36 nell'elenco preso da [1339], vedi la Figura 11.5a) e l'edizione del presunto 1515 (n. 35 nell'elenco da [1339]), considerate oggi eccezionalmente rare? Per quanto ne sappiamo, esiste un'altra edizione, che presumibilmente risale al 1496, che non contiene il catalogo stellare. La data indicata sul frontespizio dell'edizione latina, che presumibilmente risale al 1537, è scritta come segue: M.D.XXXVII (vedere la Figura 11.4). Prestate attenzione ai punti che separano le lettere latine M e D dal resto. Come è stato sottolineato in Cronologia 1, questa trascrizione può essere interpretata in una varietà di modi, tipo “Magnus Domus XXXVII”, oppure “Magn Dome XXXVII”, in altre parole “Anno 37 della Grande Casa”. Pertanto, potremmo anche fare delle ricerche sull'effettiva dinastia (o Grande Casa) il cui regno fu utilizzato dall'editore medievale come riferimento cronologico.


Figura 11.5a.
Il frontespizio dell'edizione latina dell'Almagesto del presunto 1528. Gli storici la considerano la prima edizione latina dell'Almagesto. Si tratta di una traduzione latina dall'originale in greco di Giorgio di Trebisonda (Trabson o Trapezunt). Allo stesso tempo, come prima edizione latina dell'Almagesto viene considerata l'edizione del 1537 (anch'essa realizzata da Giorgio di Trebisonda) che appare assolutamente chiaro dal frontespizio dell'edizione del 1537. Quindi, qui ci troviamo di fronte a una contraddizione nella versione di Scaligero della storia delle edizioni dell'Almagesto. Tratta da [1191: 1], p.59.

 

N. A. Morozov descrive nel modo seguente le stranezze che aveva scoperto e che gli fecero mettere in discussione la datazione consensuale dell'Almagesto: “Ho ... iniziato a confrontare le latitudini che ho trovato [nel libro latino del presunto 1537 - l'autore] con le loro equivalenti moderne, convertendo per questo scopo le ascensioni dirette e le declinazioni delle stelle prese dall'Astronomischer Jahrbuch del 1925, in longitudini e latitudini. E’stato proprio il primo calcolo che ho eseguito per Regolo che mi ha completamente sbalordito: la posizione che ho trovato corrispondeva al XVI secolo d.C. e non al II, in altre parole l'epoca in cui il libro in questione fu pubblicato. Ho proseguito con l'Orecchio di Grano della Vergine e con altre tre stelle luminose. Il risultato fu lo stesso: le longitudini di Tolomeo corrispondevano al XVI secolo! … Ho pensato tra me stesso: “Come può essere? Dopo tutto, Bode (che non aveva ancora letto in originale) e molti altri astronomi come l'abate Montinho, datano questo libro al secondo secolo”... La mattina dopo ... sono andato all'Osservatorio di Pulkovo per confrontare questi risultati sorprendenti con le prime edizioni dell'Almagesto lì conservate ... Ho preso dallo scaffale la prima edizione in greco [del presunto 1538 - l'autore] e sono rimasto stupito per aver scoperto che tutte le longitudini che conteneva sono state ridotte da uno spostamento di 20 gradi (più o meno 10 minuti) rispetto al mio libro in latino; pertanto, il periodo della compilazione del catalogo è stato spostato indietro di millecinquecento anni, se dovessimo contare le rispettive longitudini dal punto dell'equinozio di primavera … Il mio stupore non durò molto: per i suoi calcoli Bode aveva usato l'edizione greca del 1538, mentre io ho fatto riferimento alla precedente edizione latina del 1537. Tuttavia, ho iniziato a chiedermi ciò che segue: non è strano che la precessione abbia coperto 20 gradi precisi nel periodo di tempo che è passato tra la presunta epoca di Tolomeo e l'edizione greca del suo libro: non 15, 16, 17, 18, ma proprio 20 gradi tondi, con la stessa variazione più o meno di 10 gradi d'arco?” ([544], volume 4, pagine 178-179).

La posizione di Bode è perfettamente chiara: perché mai si dovrebbe analizzare la “traduzione” latina se (come credeva Bode) si è in possesso del testo originale in greco? Fu solo più tardi che N. A. Morozov espresse per primo il sospetto che il testo latino del presunto 1537 fosse in realtà l'originale, mentre il testo greco del presunto 1538 era solo un suo derivato. La cronologia di Scaligero afferma che è vero il contrario.

Potrebbe essere che l'autore del XV, XVI o persino inizio del XVII secolo che pubblicò per prima la presunta “traduzione in latino”, non si preoccupò di tener conto dell'effetto della precessione? Quando gli fu fatto notare, introdusse le correzioni nel testo “originale in greco”, spostandolo indietro nel tempo al II secolo d.C.

Riportiamo la tabella compilata da N. A. Morozov, che mostra in tutta chiarezza lo spostamento longitudinale di 20 gradi tra l'edizione latina e quella greca dell'Almagesto, usando come esempio la costellazione del Cancro ([544], Volume 4, p. 180). Vedere la Tabella 11.1.

Tuttavia, potremmo ancora incontrare delle obiezioni sull'originalità del testo in latino risalente al presunto 1537. I nostri oppositori potrebbero insinuare che il libro di Tolomeo del XVI secolo non fu pubblicato come un documento importante per la storia delle scienza, ma piuttosto come un trattato scientifico ad uso immediato da parte degli scienziati e degli studenti di astronomia. Questa applicazione fu tuttavia ostacolata dalla precessione, che aveva reso obsoleti i dati contenuti nel “vecchio” catalogo. Pertanto, il traduttore preparò il catalogo “alla datazione” introducendo gli ultimi dati disponibili nella sua epoca, ovvero i dati astronomici del XV-XVI secolo. Per quanto riguarda l'editore della versione in greco che uscì l'anno successivo nel presunto 1538, potrebbe aver deciso che non fosse più necessaria come libro di testo, dopo la pubblicazione della traduzione in latino che ripristinava i dati iniziali introdotti dal “antico” Tolomeo che datavano il catalogo all'inizio della nuova era. Questa teoria sembra essere supportata dal frontespizio dell'edizione latina del 1537, in cui si può leggere “riportata al momento presente per il bene degli studenti” (ad hanc aetatem reducta, atque seorsum in studiosorum gratiam)- vedere la Figura 11.4.

 

I nomi delle stelle dati da Tolomeo

Tabella 11.1. La tabella compilata da N. A. Morozov ([544], Volume 4, pagina 180). La tabella mostra lo spostamento di 20 gradi delle longitudini, che rendono diversa l'edizione latina dell'Almagesto da quella greca, usando come esempio la costellazione del Cancro. Per poter trasformare le coordinate nelle loro equivalenti dell'eclittica, bisogna tenere presente che il segno del Cancro inizia nel 90° grado di longitudine dello Zodiaco, mentre il Leone nel 20° grado, vedere la Tabella 2.1.

I nomi moderni delle stelle La longitudine stellare calcolata per il 140 d.C. Dentro la parentesi ci sono le longitudini dalla versione dell’Almagesto descritta in [1339] La longitudine stellare indicata nella versione greca dell’Almagesto datata nel presunto 1538. La longitudine stellare fornita nella versione latina dell’Almagesto datata nel presunto 1537. La differenza tra le longitudini latine e quelle greche.
1 (Presepe) 41ε Cancro 10° 19’ (10° 20’) Cancro 10° 20’ Leone 0° 10’ 20° (-10’)
2 33η Cancro 8° 18’ (7° 40’) Cancro 7° 20’ Cancro 27° 30’ 20° (+10’)
3 31θ Cancro 8° 38’ (8° 0’) Cancro 8° 0’ Cancro 27° 50’ 20° (-10’)
4 (Asino) 43γ Cancro 10° 26’ (10° 20’) Cancro 13° 0’ Leone 2° 50’ 20° (-10’)
5 (Ginnetto) 47δ Cancro 11° 36’ (10° 20’) Cancro 11° 20’ Leone 1° 10’ 20° (-10’)
6 65α Cancro 16° 0’ (16° 30) Cancro 16° 30’ Leone 6° 20’ 20° (-10’)
7 48ι Cancro 9° 13’ (8° 20’) Cancro 8° 20’ Cancro 28° 10’ 20° (-10’)
8 10μ Cancro 2° 21’ (2° 40’) Cancro 2° 20’ Cancro 22° 30’ 20° (+10’)
9 17β Cancro 7° 10’ (7° 20’) Cancro 7° 20’ Cancro 27° 0’ 20° (-20’)

Figura 11.6.
La posizione dell'eclittica nell'edizione greca dell'Almagesto che risale al 1538,
così come quella della precedente
edizione latina che presumibilmente risale al 1537.

Questa linea di argomentazione riconosce la natura apocrifa dell'edizione latina (almeno per quanto riguarda il catalogo stellare), ma nega la possibilità che anche la versione greca possa essere apocrifa.

La confutazione di quanto sopra è la seguente. Tutte le latitudini contenute nell'edizione greca del presunto 1538 sono state aumentate sistematicamente, il margine di precisione risultante è maggiore di 25 minuti rispetto a quello dell'edizione latina che presumibilmente risale al 1537, ossia è stato semplicemente corretto con dei valori più precisi. La precessione non ha nulla a che fare con questo, poiché non influisce affatto sulle latitudini. La correzione è di natura circolare, il che significa che l'intera eclittica è stata spostata verso sud per quasi tutto il diametro del Sole. Per cui, l'eclittica dell'edizione assunse la sua normale posizione astronomica, dal momento che il suo piano praticamente si interseca con il centro del sistema delle coordinate, vedere la Figura 11.6. L'eclittica si “adattava ancora male” nella prima edizione latina del presunto 1537, nel senso che il suo piano non si intersecava con il centro della sfera celeste. Perciò, l'eclittica venne misurata male nell'edizione latina, ma molto meglio nella successiva edizione greca. Ciò a cui abbiamo assistito è ovviamente una revisione dell'originale latino.

Per i lettori attenti riportiamo la seguente osservazione esplicativa. L'eclittica dell'edizione latina viene mostrata nella Figura 11.6 come un cerchio punteggiato, mentre quella dell'edizione greca come un semplice cerchio. Ovviamente, “l'eclittica latina” non riesce ad attraversare il centro della sfera. Al contrario, “l'eclittica greca” occupa già una posizione astronomica più corretta, poiché è stata spostata verso il basso di 25' rimanendo parallela all'eclittica latina. È possibile che l'errore insito nell'edizione latina venne fatto a causa della natura grezza degli strumenti utilizzati per le misurazioni o a causa dell'insufficiente precisione durante la conversione delle coordinate equatoriali in quelle equivalenti dell'eclittica.

 

Tabella 11.2. Il confronto tra le latitudini dell'eclittica latina e greca dell'Orsa Minore, la prima costellazione dell'Almagesto. Nella seconda colonna ci sono le latitudini dell'edizione canonica che presumibilmente risale al 1537, mentre nella terza quelle prese dall'edizione greca del presunto 1538, così come le loro varianti dalla versione canonica dell'Almagesto ([1339]) e dalla traduzione di Toomer ([1538]). L'ultima colonna contiene i dati sulle differenze per entrambe le latitudini.

Il numero delle stelle dell’Orsa Minore nell’Almagesto. Tra parentesi ci sono i nomi moderni delle stelle Le latitudini indicate nell’edizione latina Le latitudini indicate nella versione greca. Quelle tra parentesi sono le varianti prese da [1339] Discrepanze: il valore delle latitudini greche meno il valore di quelle latine
1 (1α Ursa Minor) 65° 35’ 66° 00’ +25’
2 (23δ Ursa Minor) 69° 35’ 70° 00’ +25’
3 (22ε Ursa Minor) 73° 55’ 74° 20’ +25’
4 (16ζ Ursa Minor) 75° 15’ 75° 20’ (75° 40’) +5’ (+25’)
5 (21η Ursa Minor) 77° 1’ 77° 20’ (77° 40’) +5’ (+25’)
6 (7β Ursa Minor) 72° 25’ 72° 50’ +25’
7 (13γ Ursa Minor) 74° 25’ 74° 50’ +25’
8 (5A Ursa Minor) 70° 45’ 71° 10’ +25’

Riportiamo anche la tabella comparativa delle latitudini greche e latine (Tabella 11.2). Per esempio, le latitudini dell'eclittica della prima costellazione dell'Almagesto, vale a dire l'Orsa Minore. Nella seconda colonna riportiamo le latitudini dell'edizione latina che presumibilmente risale al 1537, mentre nella terza quelli contenute nell'edizione greca del presunto 1538, così come le varianti dalla versione canonica dell'Almagesto ([1339]) e dalla traduzione di Toomer ([1358]). L'ultima colonna contiene i valori delle discrepanze tra le latitudini (più precisamente, le latitudini latine sono state sottratte da quelle greche).

Per cui, è abbastanza ovvio che la discrepanza tra le latitudini indicate dalle versioni latine e greche (vedere anche la versione canonica in [1339] e [1358]) sia esattamente uguale a 25' per ogni stella dell'Orsa Minore. Si tratta chiaramente di uno spostamento di 25'. Sono stati presi i valori delle latitudini greche e latine dalla tabella riprodotta in [544], Volume 4, pagina 198.

E così, l'editore del testo in greco si mise a “ricostruire i vecchi dati di Tolomeo”, correggendoli contemporaneamente per una maggiore precisione. Questo contraddice l'ipotesi che il testo greco del presunto 1538 sia l'originale.

 

 

1.4. Le carte stellari dell’Almagesto.

Tutte le stelle dell'Almagesto sono state localizzate in relazione alle figure delle costellazioni presumibilmente disegnate nel cielo. Per utilizzare il catalogo, l'astronomo deve prima individuare in cielo una determinata costellazione, quindi sfogliare il catalogo alla ricerca di una descrizione come la “stella sulla punta della coda”. In questo caso, la stella in questione può essere identificata con la moderna Stella Polare ([704], pagina 224). Un altro esempio è “la stella sopra il ginocchio destro” dell'Orsa Maggiore ([704], pagina 225). E così via, e così via. Non è possibile individuare nemmeno una stella senza fare riferimento alla carta stellare con le figure delle costellazioni disegnate sopra. Ovviamente, per individuare una determinata stella si potrebbero usare i valori numerici delle coordinate con l'aiuto degli strumenti di misurazione; tuttavia, questo significa di fatto eseguire tutto al contrario l’intero processo di misurazione, per poter individuare una stella in base alle sue coordinate. Si tratta di una procedura complessa e lunga. È abbastanza chiaro che il catalogo venne realizzato allo scopo di localizzare rapidamente le stelle sulla sfera celeste, non per dar vita a una lunga “procedura di ricerca” che coinvolge dei calcoli inversi.

In questo caso, due astronomi differenti che fanno riferimento al catalogo, devono possedere due copie perfettamente identiche delle stesse carte stellare, per poter ricostruire la posizione iniziale della “stella sopra il ginocchio destro” senza alcuna ambiguità. Se su una copia della carta stellare il ginocchio fosse stato disegnato in modo diverso, sarebbe stato facile commettere un errore. La posizione precisa delle stelle attraverso le parti del corpo di animali immaginari, conservata per molti secoli come tradizione in tanti paesi senza confondere l'osservazione effettiva, è possibile solo per quanto riguarda le stelle di prima e seconda magnitudine: ovvero, le stelle luminose. Le stelle del terzo ordine di magnitudine potrebbero già essere soggette alla confusione, dovuta alle idee eterogenee di diversi astronomi sulla forma degli arti degli animali immaginari. Quindi, i disegni degli animali sulle carte stellari hanno svolto il ruolo della griglia delle coordinate curvilinee che ha permesso di definire le posizioni delle stelle.

Ad ogni modo, un astronomo che si sforza di compilare un catalogo con un margine di precisione di 10 minuti come l'Almagesto, deve essere consapevole dell'importanza fondamentale di usare delle figure di costellazioni identiche per ogni copia della carta stellare. Queste copie venivano inviate agli apprendisti e ai colleghi. Come è indicato nel frontespizio dell'edizione latina dell'Almagesto, il testo fu completato da 48 carte stellari incise da A. Dürer, vedere la Figura 11.4. Prima della macchina da stampa, le carte stellari contenevano solo le stelle più brillanti e la loro disposizione in relazione alla figura della costellazione variava da una carta all'altra. Fu solo dopo l'invenzione della tecnica di incisione che poterono essere prodotte un gran numero di copie identiche di una carta stellare dettagliata, in modo da poter essere utilizzata da molti astronomi di diversi paesi.

Tuttavia, le carte stellari rimasero fuori questione fino all'invenzione del metodo di riproduzione meccanica nel XV secolo. Solo la produzione in massa di copie assolutamente identiche poteva giustificare la manodopera coinvolta nella rappresentazione dettagliata delle stelle fino al 3° e 4° grado di magnitudine, come è il caso dell'Almagesto. Anche se qualcuno avesse davvero deciso di affrontare il gigantesco lavoro di creazione di una singola copia della carta prima dell'invenzione della macchina da stampa, questa non sarebbe mai sopravvissuta a lungo, basta ricordare la breve durata della carta e della pergamena. Riprodurre una carta con una precisione sufficiente per l'uso pratico, significava fare di nuovo l'intero lavoro da zero. Le carte stellari di Albrecht Dürer sono in realtà le prime ad essere state realizzate in modo sufficientemente dettagliato. Nelle Figure 11.7 e 11.8 presentiamo le carte stellari dell'Emisfero Boreale e Australe di Albrecht Dürer, risalenti al 1527. A titolo di confronto, nelle Figure 11.7 e 11.8 citiamo le stesse carte tratte dall'edizione dell'Almagesto pubblicata nel presunto 1551. È importante notare che le due “carte dell'Almagesto” differiscono l'una dall'altra: per esempio, nelle mappe illustrate della presunta edizione del 1551, alcuni personaggi "antichi" indossano abiti medievali.


Figura 11.7.
Carta stellare dell'Emisfero Boreale di Albrecht Dürer (1471-1528); risale presumibilmente al 1527. Tratta da [90], pagina 8.

 

Ovviamente, le famose carte stellari di Dürer, che secondo la leggenda latina furono incise nel 1515, finirono per far parte della prima edizione latina dell'Almagesto del presunto 1537, molto dopo che furono distribuite agli astronomi occidentali come incisioni. La storia della tecnologia ci racconta che la tecnica dell'incisione fu introdotta in Europa all'inizio del XV secolo come metodo per replicare i disegni e in seguito portò all'invenzione della stampa a caratteri. Si ritiene che la tecnica sia stata inventata in Olanda e nelle Fiandre, per poi essere in seguito importata in Francia e in Italia. La più antica incisione datata ad oggi si ritiene che sia la stampa in legno intitolata “San Cristoforo”, contrassegnata con la data del 1423. Precede di circa 15-20 anni l'invenzione della macchina da stampa di Gutenberg ([544], Volume 4, pagine 221-222). Per quanto riguarda il fatto che le incisioni stampate non fossero conosciute in precedenza, è ovvio dalla storia stessa della presente invenzione.


Figura 11.8.
Carta stellare dell'Emisfero Australe di Albrecht Dürer (1471-1528); risale presumibilmente al 1527. Tratta da [90], pagina 9.

Le prime stampe furono fatte con lo stesso metodo impiegato oggi nella fabbricazione dei timbri: le aree che dovevano essere bianche venivano scolpite nel legno; una tavola di legno imbrattata di vernice serviva per fare una stampa grezza su carta. Tuttavia, questo metodo non sopravvisse a lungo. Già nel 1452, l'orefice fiorentino Maso Finiguerra fece il prossimo passo in avanti. Scolpì un'opera d'arte su di una targa d'argento, che poi rivestì con una miscela di olio e fuliggine e premette la targa contro un panno bagnato.

 


Figura 11.9.
Carta stellare dell'Emisfero Settentrionale da un'edizione dell'Almagesto che presumibilmente risale al 1551. Queste carte differiscono dall'edizione del presunto 1527 per un solo aspetto, che è piuttosto degno di nota. Qui, i personaggi delle costellazioni indossano degli abiti medievali. Tratta da [543], inserita tra le pagine 216 e 217.

 

Ne risultò una stampa di qualità abbastanza elevata. Maso Finiguerra ripeté il processo con dei fogli di carta umida e scoprì che se si continuava a passare la vernice sopra l'incisione a una velocità costante, si potevano fare un numero infinito di stampe. Questo metodo per la replica grafica fu ulteriormente perfezionato dal famoso artista italiano Andrea Mantegna (1431-1506; vedi [797], pagina 756). Fu l'autore di circa 20 tavole con scene mitologiche, storiche e religiose; per esempio, i sette fogli della serie intitolata “Zuffa di dèi marini”, risalente al presunto 1470.

È così che cominciò la produzione delle incisioni; subito dopo iniziò anche in Germania. Qualche anno dopo, Albrecht Dürer (1471-1528) divenne noto come l'autore di Norimberga di eccezionali incisioni di qualità in legno e metallo. Erano caratterizzate da un design meticoloso, un'eccellente ombreggiatura, le prospettive corrette ecc... Nacque un'intera scuola di prominenti incisori.


Figura 11.10.
Carta stellare dell'Emisfero Meridionale da un'edizione dell'Almagesto presumibilmente datata nel 1551. Bisogna notare che le figure indossano degli abiti medievali. Tratta da [543], inserita tra le pagine 216 e 217.

 

Sarebbe ovviamente più facile pubblicare separatamente le incisioni delle carte stellari (contrassegnate 1515 da Dürer), piuttosto che metterle tutte in un libro illustrato come l'Almagesto. Lo stesso Dürer era in grado di fare tutte le stampe che voleva senza l'aiuto degli editori di libri professionali. Non era un astronomo (in ogni caso, queste carte stellari sono le sue uniche opere astronomiche). Tuttavia, non essendo un astronomo osservatore, Dürer eseguiva gli ordini di alcuni astronomi o editori e fece numerosi errori gravi nelle sue carte stellari, per preservare l'eleganza delle figure. Vi facciamo semplicemente notare gli esempi più vividi.

La costellazione dell'Altare (Ara) nella versione di Dürer sembra essere perfettamente naturale e squisita, vedere le Figure 11.8 e 11.10. Tuttavia, se dovessimo trasferire i contenuti della mappa nella vera sfera celeste, si scoprirebbe che l'Ara è capovolta e la fiamma è rivolta nella direzione sbagliata: sembra una torcia che brucia a testa in giù (Figura 11.11). Quale astronomo con esperienza nelle osservazioni potrebbe immaginarla in un modo così imbarazzante?

 


Figura 11.11.
L'Ara invertita, trasferita sulla sfera celeste dalla mappa di Dürer.
Un astronomo che osserva veramente il cielo difficilmente l'avrebbe disegnata in questo modo.

 

Inoltre, anche il Pegaso alato sembra decoroso e naturale nei disegni di Dürer (Figure 11.7 e 11.9). Tuttavia, una volta trasferiti i disegni sulla sfera celeste, “Pegaso vola sottosopra dall'alba al tramonto, come un uccello ferito” ([544], Volume 4, pagina 209; vedi Figura 11.12). È anche ovvio che nessun vero astronomo dei vecchi tempi avrebbe mai raffigurato questa “costellazione alata” in un modo così imbarazzante: appesa a testa in giù sulla sfera celeste. Si tratta di un errore di Dürer. Inoltre, la costellazione di Ercole diventa al contrario quando la proiettiamo sulla sfera celeste.

Però, tutti questi errori sono osservabili solo sulla sfera celeste, per cui i disegni piatti di Dürer li nascondono abbastanza bene: Pegaso si erge sulle sue gambe, la fiamma dell'Ara è diretta verso l'alto, ecc... Pertanto è perfettamente chiaro che le loro posizioni sono state scelte da Dürer in corrispondenza alle disposizioni artistiche del disegno. Gli errori di Dürer sono perfettamente naturali. Dopo tutto aveva a disposizione un foglio di carta piatto, non la sfera celeste curva, per cui cercò di creare una certa impressione artistica. La fabbricazione delle incisioni ha ovviamente richiesto un enorme quantità di lavoro. Pertanto, anche se il cliente di Dürer rimase davvero inorridito dalle assurdità sopra descritte, non aveva altra scelta che sancire la pubblicazione di queste opere di “arte”, canonizzando questi nuovi modelli dettagliati di carte stellari. Soprattutto perché Dürer, per il quale le carte erano solo delle opere d'arte, avrebbe potuto iniziare la distribuzione delle stampe senza dover aspettare l'uscita dell'Almagesto.


Figura 11.12.
Il Pegaso invertito, trasferito sulla sfera celeste dalla mappa di Dürer.
Un astronomo che osserva veramente il cielo difficilmente l'avrebbe disegnato in questo modo.

 

Il “Pegaso invertito” di Dürer diede chiaramente fastidio ad alcuni astronomi, per esempio Copernico che visse nel presunto 1473-1543 ([797], pagina 626). Siccome stava pubblicando il proprio catalogo stellare, che come già sappiamo (vedere maggiori dettagli e le tabelle comparative in [544], Volume 4, pagine 223-232) era solo una versione lievemente diversa del catalogo dell'Almagesto di Tolomeo, Copernico cercò di “rettificare” la descrizione di Pegaso. Essendo troppo timido per intraprendere un'azione audace come provare a disegnare una versione corretta della carta stellare di Dürer, che Copernico deve aver considerato come una fedele replica delle “antiche carte classiche” che si presumeva fossero andate perse, si limitò semplicemente a cambiare l'ordine delle righe nella descrizione di Pegaso, mettendo in cima le righe a basso e viceversa. Più specificamente, se l'Almagesto riportava “la stella in bocca (sul muso)” come la numero 17 nella costellazione di Pegaso ([704], pagina 236), Copernico la elencava prima ([544], Volume 4, pagina 228). Al contrario, se l'Almagesto descrive come prima “la stella sull'ombelico”, in comune con la testa di Andromeda, Copernico la elencava come l'ultima stella della costellazione (nr. 20). Tuttavia, questo “tentativo di correzione” era ingenuo e fu condannato sin da subito per il semplice motivo che la semplice sostituzione meccanica delle righe superiori della tabella con le righe sotto e viceversa, potrebbe aver corretto la tabella, ma non l'effettiva disposizione stellare sulla sfera celeste, in quanto la localizzazione delle stelle in base agli arti rimase la stessa per molto tempo.

N. A. Morozov scrisse quanto segue: “Il tentativo di Copernico di correggere l'elenco delle parti della figura di una costellazione e non la figura stessa, è stato ovviamente estremamente ingenuo, ma il fatto rimane: non ha eseguito alcuna alterazione nella numerazione dell'Almagesto per qualsiasi altra costellazione” ([544], Volume 4, pagina 225). Ciò che abbiamo appena visto sono le vestigia della lotta segreta tra il senso pratico degli astronomi del XVI secolo e l'assurdità astronomica di alcuni frammenti delle carte stellari di Dürer, santificate dall'autorità di Tolomeo.

Riconoscendo la paternità di Dürer per tutte le assurdità inerenti alla disposizione di alcune costellazioni, siamo giunti all'implicazione che qualsiasi disegno della costellazione che ripete gli errori di Dürer debba essere postdatato. Ora torniamo all'Almagesto.

Ribadiamo di nuovo che nell'Almagesto le posizioni delle stelle fioche sono state descritte con delle frasi: “nella bocca di Pegaso”, “sopra il ginocchio sinistro”, “sul corno dell'Ariete” e così via. Il testo dell'Almagesto afferma direttamente che le descrizioni in questione si riferiscono esplicitamente alle carte stellari di Dürer (comprese nell'Almagesto). Infatti, torniamo alla costellazione di Pegaso. L'Almagesto descrive la prima stella di questa costellazione come “la stella dell'ombelico”, mentre la “stella nella bocca” è una delle ultime elencate (n. 17; vedere [704], pagina 236). Dal momento che il catalogo dell'Almagesto elenca le stelle da nord a sud, “la stella dell'ombelico” dovrebbe trovarsi più a nord. Infatti l'Almagesto riporta che ha una latitudine di 26 gradi. La “stella nella bocca” si trova più a sud; nell'Almagesto la sua latitudine corrisponde a 22 gradi e 30 minuti ([1358], pagina 358). Pertanto, l'autore dell'Almagesto si sta muovendo nella giusta direzione, da nord a sud, confermando così l'imbarazzante posizione invertita di Pegaso. Possiamo vedere che la cosa capitò anche con altre costellazioni. Per cui, l'autore dell'Almagesto si riferisce sicuramente alle carte stellari di Dürer allegate all'opera.

E così, sia il compilatore del catalogo che l'autore dell'Almagesto hanno fatto riferimento alle carte stellari che comprendevano le assurdità di Dürer. Di conseguenza, dopo il 1515 tutte le descrizioni verbali in questione diventarono parte del testo dell'Almagesto. Questo ci conduce all'ipotesi che non solo il catalogo stellare, ma anche una serie di altri importanti capitoli dell'Almagesto (come li conosciamo oggi) furono creati o modificati al più presto nel XVI secolo o probabilmente all'inizio del XVII secolo.

Ciascuna delle stranezze sopra elencate può essere spiegata nel paradigma della cronologia scaligeriana con dei trucchi o degli adeguamenti più o meno grandi. Ciò nonostante, la loro combinazione si rivela essere troppo pesante per consentire qualsiasi sostanziale confutazione riguardo l'ovvia evidenza che la parte principale dell'Almagesto debba essere datata all'epoca del Rinascimento, o addirittura a quella del XVI-XVII secolo.

N. A. Morozov scrisse quanto segue: “Tutto quanto detto sopra mi fa considerare l'Almagesto come una collezione completa di tutte le osservazioni e conoscenze astronomiche sulle 12 costellazioni zodiacali che si sono accumulate tra l'inizio della nuova era e il XVI secolo; le singole osservazioni contenute nel libro sono state condotte centinaia di anni fa. L'obiettivo di qualsiasi studioso serio di questo libro è quello di datare le singole informazioni contenute in un secolo o nell'altro” ([544], pagina 218).

Magari Ipparco e Tolomeo sono stati dei veri astronomi, tuttavia le loro vite pare che debbano essere datate a un'epoca molto più tarda. Ipparco e Tolomeo potrebbe essere stati attivi nell'epoca del XIII-XVI secolo d.C. Abbiamo già espresso l'ipotesi che “l'antico Ipparco” potrebbe essere un mero riflesso fantasma del famoso astronomo Tycho Brahe (1546-1601). L'Almagesto fu pubblicato appena dopo il suo completamento nel XV-XVI secolo; è molto probabile che sia stato modificato nell'epoca del XVI-XVII secolo. I cronologisti della scuola di Scaligero datarono erroneamente l'Almagesto nella profonda antichità; molto probabilmente, la datazione errata fu intenzionale.

Anche gli altri cataloghi stellari medievali (tipo il catalogo di Al-Sufi, vedi in precedenza) presentano problemi simili.