Cristo e la Rus’
attraverso gli occhi degli “antichi” greci

 A. T. Fomenko – G.V. Nosovskiy

Nuove informazioni su Andronico Cristo, Giovanni Battista, l’apostolo Paolo, Giuda Iscariota e le crociate della Rus’ dell’Orda. A quanto pare, ques te testimonianze costituiscono la base delle opere principali di Erodoto, Plutarco, Tucidide, Senofonte, Platone e Aristofane.

Nuova edizione del 2013-2015

testo tradotto in italiano da Claudio dell’Orda

CAPITOLO 5: NUOVE INFORMAZIONI SU CRISTO (NICIA), GIUDA ISCARIOTA (ALCIBIADE) E GIOVANNI BATTISTA (CLEONE).
RISULTA CHE QUESTE TESTIMONIANZE COSTITUISCON O LA BASE DELLA STORIA DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO = GUERRA DI TROIA DEL XIII SECOLO D.C.

 

6. ALCIBIADE FU ACCUSATO DI CONGIURA E PROFANAZIONE DEI LUOGHI SACRI. SI TRATTA DI CRISTO O GIUDA ISCARIOTA. I SOMMI SACERDOTI GIUDEI ACCUSARONO CRISTO-NICIA DI VOLER DISTRUGGERE IL TEMPIO DI DIO. PROBABILMENTE ALCUNI CRONISTI CONFUSERO CRISTO E GIUDA.

 

6.1. IL RACCONTO DI TUCIDIDE.

Da questo punto in poi, vedremo un numero crescente di elementi a favore dell'ipotesi che il famoso ateniese Alcibiade sia un ulteriore riflesso parziale di Giuda Iscariota, così come di Cristo stesso, nella storia greca del fantomatico V secolo a.C. Discuteremo più dettagliatamente la corrispondenza tra Giuda e Alcibiade più avanti. In questa sezione, incontreremo per la prima volta questa sovrapposizione.

Durante la guerra del Peloponneso, gli Ateniesi pianificano una campagna contro la Sicilia. La spedizione dovrebbe essere guidata da Nicia, ovvero Andronico-Cristo. Ma poco prima dell'inizio della spedizione, ad Atene (Zar-Grad) si verifica un evento importante, che influenzerà profondamente il destino dei partecipanti. Si tratta di una cospirazione e di un'invasione dei luoghi sacri.

Rivolgiamoci innanzitutto a Tucidide. “Conclusi i preliminari, si passò ai preparativi concreti, si diramò alla lega il comando di all’erta e si procedette alla mobilitazione cittadina. Atene s’era appena risollevata dalla malattia e dalla guerra ininterrotta, mentre la tregua consentiva l’avvento sempre più copioso di classi giovani all’età di leva, e all’economia statale d’irrobustirsi: sicché si provvedeva con larghezza a ogni preparativo. E ferveva in tutti la volontà di prodigarsi. Quand’ecco le Erme marmoree erette in città dagli Ateniesi (sono parecchi, secondo la tradizione locale, questi blocchi quadrangolari, nei vestiboli delle abitazioni o nei recinti sacri) ebbero in maggioranza il volto mutilato, in una stessa notte. Sui responsabili il mistero: ma si dava loro la caccia, con ricche taglie promesse dallo stato per la loro cattura. E non bastò: si decise che chiunque fosse disposto, dei cittadini o dei forestieri, perfino dei servi, denunciasse senza paura qualunque diverso atto sacrilego che gli fosse noto. L’opinione pubblica ne fu seriamente scossa: vi si riconosceva un segno infausto per la partenza, collegato forse a torbide trame per sovvertire lo stato e la democrazia …

Finché, ad opera di certi meteci e di alcuni servi, approda all’autorità una denuncia, che pur non avendo nulla da spartire con lo scandalo delle Erme, riguarda certe altre statue sfregiate tempo prima da un gruppetto di giovani ubriachi e in vena di stranezze: in certi ambienti inoltre ci si diverte a scimmiottare i misteri. Le accuse non risparmiavano Alcibiade: e furono lesti a raccoglierle quelli cui la personalità di Alcibiade incuteva più geloso fastidio, intralciando la scalata ai seggi più alti e solidi del governo democratico; e pieni di speranza, se lo liquidavano, di ascendere ai vertici della società ateniese, facevano un chiasso eccessivo di quest’affare, tempestando in pubblico che le parodie dei misteri e la mutilazione delle Erme rientravano nel piano criminale di sconvolgere la compagine democratica e che nell’una e nell’altra empietà spiccava evidente lo stile di Alcibiade. Ne adducevano a prova il suo modo personalissimo di vita che calpestava la tradizione: un autentico schiaffo alla democrazia …

Alcibiade (che qui è Cristo – Aut.) rintuzzò direttamente l’attacco, aggiungendo ch’era disposto, prima dell’imbarco ad affrontare un processo, perché si facesse piena luce sulle sue responsabilità nei delitti di cui lo si imputava (ormai erano stati aggiunti anche gli ultimi ritocchi alle forze in partenza) e, se risultava colpevole di qualche mancanza, avrebbe pagato; se andava assolto, il comando sarebbe rimasto suo.”  [924], p. 274.

A quanto pare, in questa storia “antica” narrata da Tucidide, sono strettamente intrecciati due distinti racconti evangelici.

PRIMO: Le accuse mosse dai sommi sacerdoti ebrei e dai farisei ad Andronico-Cristo, accusandolo di aver distrutto le fondamenta dell'ordine e della fede; la denuncia di Cristo da parte di Giuda Iscariota e le richieste di una parte significativa del popolo di condannare Cristo.

SECONDO: La condanna di Cristo da parte di Giuda fu considerata dai credenti una bestemmia e un sacrilegio. Tutti i cristiani maledissero Giuda.

Ripercorriamo la storia di Tucidide, osservandola da questo punto di vista.

 

 

6.2. CRISTO FU ACCUSATO DI AVER TENTATO DI DISTRUGGERE IL TEMPIO. TUCIDIDE PARLA DELLA DISTRUZIONE DELLE ERME AI TEMPI DI NICIA. I FALSI TESTIMONI DEL VANGELO E GLI INFORMATORI DI TUCIDIDE.

I Vangeli dicono: "I capi dei sacerdoti, gli anziani e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte, ma non ne trovarono alcuna. Si presentarono anche molti falsi testimoni, ma non ne trovarono nessuno che andasse bene. Finalmente se ne presentarono due, che dissero: Costui ha dichiarato: "Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni". Allora il sommo sacerdote, alzatosi, gli disse: "Perché non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?". Gesù taceva" (Matteo 26:59-62).

A quanto pare, fu proprio questa scena a essere rappresentata dall'"antico" Tucidide come la storia della DISTRUZIONE DELLE ERME sotto Nicia. Entrambe le versioni hanno lo stesso tema: la DISTRUZIONE DI UNA CERTA STRUTTURA SACRA. I Vangeli parlano della distruzione del Tempio di Dio, in senso figurato, mentre Tucidide parla della distruzione dei monumenti sacri, le erme. Si sottolinea che "LE ERME, STATUE DI CULTO a forma di colonna con la testa di Ermes e di altre DIVINITÀ... SERVIVANO COME OGGETTI DI CULTO" [924], p.495.

A proposito, è impossibile non notare che la parola russa KHRAM = tempio e quella greca ERMA, sono praticamente identiche, poiché i suoni G e H potrebbero trasformarsi l'uno nell'altro. Il fatto è che le antiche cronache del Grande Impero "Mongolo" erano probabilmente scritte in lingua slava antica, e quindi una confusione del tipo TEMPIO <---> ERMA è del tutto possibile. E poiché si ritiene che le erme raffigurassero gli DEI, allora in entrambe le versioni, come vediamo, stiamo parlando della DISTRUZIONE DI OGGETTI DEDICATI AGLI DEI. A questo proposito, esprimeremo la seguente riflessione. È possibile che quando incontriamo riferimenti alle "ERME" sulle pagine dei testi "antichi", ci stiamo in realtà imbattendo in messaggi riguardanti i TEMPLI = dimore.

Inoltre, i Vangeli riportano che le accuse contro Cristo per la distruzione del Tempio provenivano dalla bocca di falsi testimoni: gli INFORMATORI. Allo stesso modo, Tucidide sottolinea che la questione della distruzione delle "ermi" era direttamente collegata agli INFORMATORI. Inoltre, secondo i Vangeli, i sommi sacerdoti ebrei CERCAVANO ATTIVAMENTE informatori che accusassero Cristo di sacrilegio. E Tucidide afferma che gli Ateniesi ANNUNCIARONO A GRAN VOCE che "se qualcuno (sia esso un cittadino, uno straniero o uno schiavo) fosse venuto a conoscenza di qualcosa riguardo a un altro sacrilegio di questo tipo, ALLORA AVREBBE DOVUTO SEGNALARLO SENZA TIMORE" [924], p. 274. In entrambi i casi, il quadro della ricerca di accusatori idonei è piuttosto simile.

 

 

6.3. LE ACCUSE DI COSPIRAZIONE, IL TENTATIVO DI SOVVERTIRE L'ORDINE VIGENTE, LE URLA DELLA FOLLA INDIGNANTE. LA DENUNCIA DI GIUDA E PAGAMENTO PER IL TRADIMENTO.

Tucidide racconta che molte persone amareggiate, cominciarono a gridare per la distruzione delle erme, maledicendo i cospiratori che volevano compiere un colpo di stato. A quanto pare, qui troviamo una versione della descrizione degli eventi che si svolsero attorno a Cristo. Egli, insieme ai suoi discepoli, fu accusato a gran voce di cospirazione, di aver distrutto i fondamenti della fede, di "aver distrutto il tempio di Dio". Di conseguenza, molti si inasprirono e tutti gridarono a Ponzio Pilato di crocifiggere Cristo.

Citiamo ancora una volta il frammento di Tucidide, sostituendo solo il nome ALCIBIADE con CRISTO e mettendo questo nome tra parentesi. Otterremo quanto segue.

“Finché, ad opera di certi meteci e di alcuni servi, approda all’autorità una denuncia, che pur non avendo nulla da spartire con lo scandalo delle Erme, riguarda certe altre statue sfregiate tempo prima da un gruppetto di giovani ubriachi e in vena di stranezze: in certi ambienti inoltre ci si diverte a scimmiottare i misteri. Le accuse non risparmiavano (Cristo): e furono lesti a raccoglierle quelli cui la personalità di (Cristo) incuteva più geloso fastidio, intralciando la scalata ai seggi più alti e solidi del governo democratico; e pieni di speranza, se lo liquidavano, di ascendere ai vertici della società ateniese, facevano un chiasso eccessivo di quest’affare, tempestando in pubblico che le parodie dei misteri e la mutilazione delle Erme rientravano nel piano criminale di sconvolgere la compagine democratica e che nell’una e nell’altra empietà spiccava evidente lo stile di (Cristo). Ne adducevano a prova il suo modo personalissimo di vita che calpestava la tradizione: un autentico schiaffo alla democrazia.”

Come risultato di una "ricostruzione" molto semplice, abbiamo ottenuto praticamente la trama evangelica. È possibile che la sostituzione inversa sia stata fatta intenzionalmente dai redattori di Tucidide. Sostituendo Cristo-Nicia con Alcibiade, hanno reso il testo a prima vista "non evangelico". Quindi, diamo un'occhiata più da vicino all'essenza della storia.

- "I servi fidati fecero una denuncia". Molto probabilmente, questo si riferisce a Giuda Iscariota, l'apostolo e discepolo di Cristo, una persona a lui vicina. Fu lui a RIFERIRE di Cristo.

- Anche altri falsi testimoni del Vangelo riportarono la testimonianza di Cristo, come se avesse affermato di poter distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo. Questo fu considerato da molti una bestemmia.

- I nemici si appropriarono di queste accuse, le gonfiarono a dismisura e cominciarono a gridare con rabbia. Si riferivano allo stile di vita di Cristo e dei suoi discepoli, come se il loro comportamento contraddicesse la fede e i costumi della Giudea.

- Poiché Cristo fu proclamato Re dei Giudei (ricordiamo che Andronico-Cristo era effettivamente un RE, un imperatore romeo), i suoi nemici volevano estrometterlo dal primo posto nello Stato e rafforzare la loro posizione tra il popolo.

- I sommi sacerdoti organizzarono una CONGIURA contro Cristo. Giuda Iscariota si unì a loro. Poi, come spesso accade, i colpevoli iniziarono a scaricare la colpa da sé stessi agli altri, capovolgendo la situazione.

- Come dice Tucidide, "si iniziò la ricerca dei criminali (Cristo e i suoi apostoli? - Aut.), E UNA GRANDE RICOMPENSA FU STABILITA PER PER LE INFORMAZIONI SUI CRIMINI" [924], p. 274. Qui apprendiamo il famoso racconto evangelico sul PAGAMENTO dato a Giuda per aver informato e tradito Gesù. Giuda ricevette trenta denari d'argento COME RICOMPENSA.

Notiamo una buona corrispondenza tra il Vangelo e la narrazione "antica".

 

 

6.4. ALCIBIADE E GIUDA ISCARIOTA. LA CONFUSIONE TRA CRISTO E GIUDA.

Ripercorriamo una seconda volta la stessa trama di Tucidide. Come abbiamo già detto, vi è intrecciato anche il tema del Giuda evangelico. Infatti.

Si parla di una GRANDE RICOMPENSA STABILITA PER LA DENUNCIA del colpevole del danno alle erme (ovvero il tempio) sotto Nicia. Si parla di blasfemia. E poi salta fuori il nome di Alcibiade. Non viene detto direttamente che fu lui a denunciare e tradire Nicia. Anzi, Tucidide afferma addirittura che "nessuno sapeva di chi fossero le mani che copirono il misfatto". Tuttavia, ALCIBIADE fu dichiarato il principale colpevole, e non qualcun altro. E molti ci credettero e lo odiarono. Come vedremo più avanti, Alcibiade fu espulso da Atene. Iniziarono a perseguitarlo attivamente. A quanto pare, si tratta di Giuda Iscariota dei Vangeli.

Ricordiamo che alcuni antichi testi ebraici confondevano Cristo con Giuda. Facciamo un esempio. Come già sappiamo, Cristo nacque con il taglio cesareo. Questo argomento è stato discusso molte volte da vari autori, si veda il nostro libro "Lo Zar degli Slavi". Una delle sue riflessioni-distorsioni è la versione rabbinica, secondo la quale Cristo si tagliò la coscia e poi la cucì. Qui Cristo e Maria la Madre di Dio furono confusi. "Egli (Cristo - Aut.) pronunciò le lettere sulla sua coscia, la tagliò senza provare dolore, e mise una pergamena all'interno, su cui scrisse le lettere segrete, e prima di uscire, pronunciò un incantesimo su questo punto. Mentre usciva, i leoni ruggirono contro di lui, e lui dimenticò immediatamente ciò che aveva scritto, ma la pergamena rimase al suo posto, e quando se ne andò, si tagliò la coscia, tirò fuori la pergamena e imparò di nuovo le lettere" [307], p. 361.

Quasi la stessa cosa è riportata di Giuda Iscariota! Citiamo lo STESSO LIBRO RABBINICO: "Ma prima che Yeshu (Gesù - Aut.) venisse dalla regina, gli anziani e i saggi di Israele si riunirono in consiglio e dissero: tutto ciò che fa, lo fa con l'aiuto della Parola segreta; dobbiamo scegliere un giovane affinché possa arrivare alla pietra fondamentale su cui è scritto la Parola segreta, e impararla, e poi sarà in grado di fare lo stesso che Yeshu fece davanti alla regina Elena. E scelsero un GIOVANE di nome Giuda Iscariota, che era molto intelligente e perspicace, e gli dissero questo. Gli ordinarono di arrivare alla pietra fondamentale su cui era scritta la Parola segreta, e poi SCRIVERLA SU PERGAMENA, QUINDI NASCONDERAO NEL SUO CORPO E USCIRE DA LÌ. COSÌ FECE, ESEGUENDO TUTTO ALLA LETTERA e, dopo averla imparata, acquisì il potere di fare tutto ciò che voleva" [307], p.366.

Ecco un altro frammento simile del testo ebraico: “Allora venne dai maghi d'Israele un uomo chiamato Giuda Iscariota, che imparò ANCHE le lettere che compongono la Parola segreta [di Dio]; le scrisse su una piccola pergamena e le tirò fuori, nascondendole in una ferita sulla sua coscia, COME FECE YESHU” [307], p. 346.

Questa confusione tra Cristo e Giuda spiega probabilmente il fatto che Tucidide, dopo aver riletto i Vangeli, abbia sostituito il nome di Cristo con quello di Giuda in alcuni punti. Cioè, NICIA con ALCIBIADE. Oppure, i redattori di Tucidide hanno deliberatamente oscurato l'essenza della questione per ripulire l'"antichità" dalle tracce evidenti del cristianesimo.

 

 

6.5. LE ACCUSE CONTRO ALCIBIADE SONO LE ACCUSE CONTRO CRISTO.

Torniamo ancora al racconto di Tucidide sulla distruzione delle erme, ovvero del tempio, dove sotto il nome di Alcibiade, come abbiamo già capito, compare proprio Andronico-Cristo.

“Qui incrociano la nave Salaminia, in arrivo da Atene con il comando proprio per Alcibiade di rimpatriare e chiarire la sua posizione nei reati che la città gli contesta. Ordine identico per altra gente dell’armata, coinvolta con lui nelle denunce di empietà scaturite in seguito all’episodio dei misteri e per alcuni altri, su cui gravava il sospetto per il sacrilegio delle Erme. Infatti ad Atene la partenza della spedizione non aveva frenato l’indagine in corso sui responsabili delle empie parodie misteriche e delle Erme mutilate: non si stava ad analizzare la credibilità delle delazioni, via via che affluivano,
e in quel clima di sospetto ogni denuncia era bene accetta. Bastava la parola di un miserabile e cittadini d’onesta specchiata subivano l’umiliazione dell’arresto e delle catene …

La riflessione su questi eventi del passato, il ricordo che la tradizione popolare ne conservava vivo, alimentavano tra le forze democratiche in Atene l’insofferenza e il sospetto contro gli incriminati di sacrilegio per lo scandalo dei misteri. Ogni particolare sembrava un tassello nel quadro di un’organizzazione sovversiva manovrata da ambienti oligarchici e votati a un rilancio della tirannide.
Per questa tensione politica raddoppiava l’esasperazione pubblica, e più di un alto personaggio aveva conosciuto il carcere: ora, poiché nessun indizio si poteva notare di una schiarita e anzi, giorno dopo giorno, s’aggravava la spirale dell’intolleranza, né accennava a rompersi la serie d’arresti, uno dei detenuti, proprio quello la cui colpevolezza pareva trasparire da tracce più evidenti, si lasciò indurre da un compagno di cella ad emettere un comunicato, si ignora se veritiero o falso. Congetture valide entrambe: poiché la verità sugli esecutori del crimine non la poté rivelare nessuno, né allora, né mai. Quel prigioniero convinse il compagno argomentando: fosse pure innocente, in un sol colpo doveva tirar fuori, garantendosi l’impunità, sé stesso, e dissolvere la cappa di diffidenza che opprimeva la città. Per lui era più sicuro confessare e ottenere l’impunità che negare e affrontare un incerto processo. Sicché quel tale depose contro sé stesso e contro altri, per l’attentato alle Erme. In Atene si fece festa tra il popolo per le responsabilità finalmente appurate, così si credeva, in quello scandalo, mentre prima si stimava insopportabile e minacciosa l’impotenza di scovare una pista per quell’aperta provocazione agli istituti democratici. Il delatore, e in sua compagnia quanti la sua deposizione aveva risparmiato, riottenne all’istante la libertà. Quelli compromessi dalla denuncia, invece, sottoposti a processo, furono giustiziati in parte - chi era già in mano alle autorità - ma altri, che erano riusciti ad eclissarsi, ebbero la sentenza di morte e una taglia in denaro sulla vita. Così, in questa circostanza, restava in ombra se le vittime avessero pagato ingiustamente: ma senza dubbio il resto della cittadinanza ne trasse, in quel frangente, un concreto sollievo …

Sulla figura di Alcibiade, per le pressioni di quei suoi nemici che già prima della partenza s’erano accaniti contro di lui, si addensava in Atene un pubblico rancore. Quando poi si credette d’aver scoperto, sullo sfregio delle Erme, la verità autentica, tanto più si rafforzò in Atene la convinzione che a proposito alle parodie misteriche in cui Alcibiade era più direttamente coinvolto, tornasse valida la ipotesi che il suo supposto gesto scaturisse da un identico movente e si proponesse insomma, con un complotto, di rovesciare la democrazia. Si era aggiunta una nuova circostanza, proprio all’epoca in cui la città era in fermento per i motivi esposti: un contingente spartano per il vero limitato, s’era spinto alle frontiere dell’Istmo, per combinare qualche iniziativa con i Beoti. Dunque, si riteneva che quel movimento si dovesse attribuire non all’intesa beota, ma a qualche traffico illecito di Alcibiade: anzi, per buona sorte erano giunti in tempo ad arrestare i responsabili sulla base di quella denuncia altrimenti si mormorava che la città era bell’e tradita al nemico. Ad ogni modo, per una notte gli Ateniesi bivaccarono armati nel santuario di Teseo, dentro la cinta. Allo stesso tempo, anche alcuni
residenti in Argo legati ad Alcibiade da vincoli d’ostilità, furono sospettati di attentare alla sicurezza dello stato democratico. L’episodio suggerì ad Atene di consegnare subito al governo popolare di Argo per la condanna capitale, gli ostaggi argivi al confino nelle isole. Il cerchio della diffidenza si saldava intorno ad Alcibiade. Così gli Ateniesi, proponendosi di sentenziarne il supplizio dietro regolare processo, spedirono in Sicilia la nave Salaminia per richiamare lui e gli altri implicati nella delazione. Il comando era di porgergli un invito a seguire gli inviati per scolparsi, senza arrestarlo. Bisognava usargli riguardo, per timore di sfavorevoli ripercussioni in Sicilia, sia nelle proprie truppe che tra i nemici: e anzitutto tenevano a conservarsi l’appoggio di Mantineesi e Argivi che a loro avviso, s’erano indotti a partecipare per l’opera persuasiva di Alcibiade. Costui a bordo della propria nave (in sua compagnia gli altri denunciati) salpò dalla Sicilia a fianco della Salaminia con l’intenzione apparente di puntare su Atene. Senonché costeggiando all’altezza di Turi, interruppero il contatto, abbandonarono la nave e sparirono: l’idea di un processo, sostenuto da un’accusa sleale li atterriva. Per poco quelli della Salaminia fecero ricerche di Alcibiade e dei suoi: ma constatatane la scomparsa, si ritirarono proseguendo il viaggio. Alcibiade ufficialmente era bandito.”  [924], p. 285, 288-289.

Tuttavia, a questo punto Alcibiade non fu arrestato. Si dice che sia fuggito. "Gli Ateniesi condannarono a morte lui e i suoi compagni in contumacia" [924], p. 290.

A quanto pare, l’intera storia dell’“antico” Tucidide è un riflesso del racconto evangelico delle accuse contro Cristo, del suo arresto e della sua esecuzione.

- Gli Ateniesi sono indignati per la derisione dei misteri e la distruzione delle erme. Questo episodio probabilmente riflette le accuse contro Cristo di distruggere le fondamenta dell'antica fede, predicando una nuova religione e portando discordia nella società.

- Tucidide riporta la denuncia di Alcibiade. Come abbiamo già detto, pare che sia un riferimento alla denuncia contro Cristo.

- Tucidide racconta dell'estrema eccitazione che si è diffusa tra gli Ateniesi. L'intera città è in subbuglio, la tensione ha raggiunto l'apice, vengono mosse accuse contro i nobili, ecc. Qui vediamo di nuovo la sovrapposizione di Atene a Gerusalemme = Zar-Grad. Secondo i Vangeli, una parte significativa del popolo ebraico è indignata per le azioni di Cristo e ne chiede l'esecuzione.

- Il danno alle "erme" è probabilmente un riflesso dell'accusa rivolta a Cristo secondo cui avrebbe distrutto il tempio di Dio. La parola stessa ERME, a quanto pare è una versione distorta della parola TEMPIO.

- Tucidide afferma che gli Ateniesi volevano arrestare, processare e giustiziare Alcibiade, ma questi presumibilmente riuscì a fuggire. Pertanto, fu condannato a morte in contumacia. Molto probabilmente, questa è una versione attenuata del racconto evangelico sul processo a Cristo e la successiva crocifissione. L'esecuzione di Gesù non avvenne "in contumacia", ma avvenne realmente.

 

 

7. IL RACCONTO VAGO DI PLUTARCO SULLA DISTRUZIONE DEL TEMPIO-ERME, SULLA MORTE DI GIUDA, LA MORTE DI CRISTO, LA CELEBRAZIONE DELLA MORTE E DELLA RESURREZIONE DI ADONE-CRISTO POCO PRIMA DELLA MORTE DI NICIA-CRISTO.

 

7.1.  IL RACCONTO DI PLUTARCO.

Il racconto evangelico della distruzione delle erme, cioè del tempio, prima della campagna di Nicia-Cristo, che si concluse con la sua morte, non entusiasmò solo l'"antico" greco Tucidide. Anche Plutarco ne parla. Ecco il suo interessante racconto, dove come vedremo, più volte, ma sotto una luce diversa, viene descritta sostanzialmente la stessa cosa, ovvero l'esecuzione di Cristo.

"Dicono, tuttavia, che i sacerdoti riferirono anche molti presagi sfavorevoli per la campagna (di Nicia - Aut.). Ciononostante, ALCIBIADE, affidandosi ad altri indovini, concluse da alcuni antichi oracoli che grande gloria attendeva gli Ateniesi in Sicilia ... Nemmeno segni evidenti e chiari riuscirono a far sì che gli Ateniesi MANCASSERO LORO RISPETTO, come L'INCIDENTE DELLE ERME, QUANDO FURONO TUTTE MUTILATE IN UNA SOLA NOTTE (TRANNE UNA - IL SUO NOME È L'ERMA DI ANDOCIDE, era un'offerta del file di Egida e si trovava di fronte alla casa che allora apparteneva ad Andocide), o ciò che accadde all'ALTARE DEI DODICI DEI: UN UOMO IMPROVVISAMENTE SALÌ SULL'ALTARE, vi si sedette e si tagliò il pene con una pietra. A Delfi, su una palma di rame, c'era un'immagine dorata di Pallade (la dea Atena - Aut.), un dono di Atene... Per molti giorni di fila, i corvi beccarono la statua, e morsero i frutti dorati delle palme e li gettarono a terra... L'oracolo ordinò che una sacerdotessa fosse portata da Clazomena ad Atene, la mandarono a chiamare, e si scoprì che il nome di quella era Esicìa, cioè Silenzio. Era proprio questo, il silenzio (? - Aut.), che la divinità ordinò agli Ateniesi di proteggere. Sia spaventato da questo segno, sia dopo aver soppesato e riflettuto su tutto in modo puramente umano, l'astrologo Metone, che era già stato nominato comandante di una parte dell'esercito, si finse pazzo e finse di voler APPICCARE IL FUOCO ALLA SUA CASA. Alcuni riferiscono che non finse la pazzia, ma in realtà BRUCIÒ LA CASA DI NOTTE E, USCITO IN PIAZZA, IMPLORÒ CON COMPASSIONE I SUOI ​​CONCITTADINI DI COMPIACERE UNA TALE SVENTURA E DI NON MANDARE SUO FIGLIO ALLA CAMPAGNA... Molte persone erano allarmate dalla data stessa per la quale era stata fissata la partenza. LE DONNE CELEBRAVANO LA FESTA DI ADONE IN QUEI GIORNI, e le sue statue erano sparse in tutta la città, E LE DONNE SI BATTEVANO IL PETTO, ESEGUENDO IL RITO DELLA SEPOLTURA DEL DIO" [660], v.2, p.224.

Analizziamo il racconto piuttosto ricco, seppur breve, di Plutarco.

 

 

7.2. LA DISTRUZIONE DELLE ERME. TUTTAVIA, L'ERMA DI ANDOCIDE È RIMASTA INTATTA. L'"ANTICO" ANDOCIDE = CRISTO?  

Abbiamo già parlato del racconto evangelico della "distruzione del tempio, cioè delle erme". Tuttavia, qui è stato aggiunto un nuovo dettaglio. Risulta che l'erma di Andocide, cioè, probabilmente il tempio di Andocide, rimase intatto. È possibile che ANDOCIDE sia una variante della pronuncia del nome ANDRONICO, e che "erma-tempio di Andocide" sia il "Tempio di Andronico-Cristo", che forse, in senso figurato, era il Cristianesimo nel suo complesso. Poi si scopre che Plutarco riferisce della distruzione, del "danno" arrecato da altre religioni e della vittoria del Cristianesimo. Il Tempio di Cristo si rivelò intatto, non fu toccato. Di fatto, il Cristianesimo divenne la religione dominante e disperse i culti precedenti, "distruggendo i loro templi-erme".

A proposito, si nota che l'erma-tempio di Andocide-Andronico era un'offerta del file di EGIDA. Forse il nome di JEHOVAH, cioè Dio Padre, risuona bene qui. Cristo era il Figlio di Dio, quindi il "tempio di Cristo" potrebbe essere definito "un'offerta di Egida-Jehovah".

 

 

7.3. I DODICI APOSTOLI, UNO DEI QUALI, GIUDA ISCARIOTA, SI SUICIDO'.  

L'"antico" Plutarco parla di un certo altare dei dodici dei. Poiché questo messaggio è inserito, come oggi sappiamo, in una trama cristiana, sorge spontaneo chiedersi: chi sono questi dodici dei? Forse si riferiva ai DODICI APOSTOLI di Cristo, a dodici PERSONE SANTE. Alcuni fedeli avrebbero potuto benissimo chiamarli dei. Se così fosse, allora si spiegherebbe anche la vivida storia associata all'altare. Un uomo saltò sull'altare dei dodici dei e vi si sedette. Cioè, sembrava essere coinvolto con i dodici apostoli, o, semplicemente, era uno di loro. Dopo di ciò, si inflisse personalmente una grave ferita: si tagliò i genitali con una pietra. Probabilmente, in questa forma, la storia dell'apostolo Giuda il traditore si riflette sulle pagine di Plutarco, che in seguito si pentì della sua azione e si suicidò. Si dice che si impiccò a un albero di fico. La menzione di un organo genitale reciso potrebbe apparire qui come un riflesso della maledizione che si abbatté sull'intera famiglia di Giuda. Si dice che la sua famiglia sarà maledetta per sempre e che Giuda non avrà figli.

 

 

7.4. LA STATUA DORATA DI UNA DEA O DI UN DIO SU UNA PALMA DI RAME.  

Secondo Plutarco, la "palma di rame" conteneva un'immagine dorata della dea Pallade Atena, un dono della città di Atene. Abbiamo già una buona idea di cosa sia la "palma di rame". Molto probabilmente, si tratta dell'Albero del Calvario, vedi sopra. Rame = CALCHOS, per cui questa parola fu confusa con GOLGOTA. Cristo fu crocifisso sul Calvario. Cioè, il corpo di Cristo crocifisso era visibile sull'Albero. Cristo era anche chiamato il Sole. Il colore del Sole è l'ORO. In generale, l'oro era talvolta considerato un simbolo del Sole.

Probabilmente si tratta di una storia su come le persone videro il Cristo crocifisso = "una statua divina dorata" sul pilastro dell'Albero del Golgota. Perché viene menzionata qui la dea Atena. Perché, come abbiamo dimostrato, Atena Parthenos è uno dei riflessi dell'Immacolata Vergine Maria, la madre di Cristo. Maria, la Madre di Dio, si trovava realmente SUL MONTE GOLGOTA, accanto alla croce su cui era appeso Cristo, Fig. 5.14. Nella mente di alcuni cronisti, questa circostanza potrebbe essere interpretata come un messaggio secondo cui la dea Maria-Atena stessa si trovava presumibilmente "sul palo dell'Albero del Golgota".

 

 

7.5. I CORVI CHE BECCANO LA STATUA DORATA SULLA PALMA DI RAME: SI TRATTA DEL COLPO DI LANCIA NEL COSTATO DI CRISTO.

Secondo Plutarco, dei corvi beccavano la statua dorata della divinità sulla "palma di rame". Nell'ambito della nostra ricostruzione, il quadro diventa immediatamente chiaro. Probabilmente stiamo parlando del noto episodio evangelico: Cristo, appeso alla croce, fu colpito da un soldato con una lancia, trafiggendogli il costato ( Fig. 5.15). "Uno dei soldati gli trafisse il costato con una lancia" (Giovanni 19:34). Un colpo con una LANCIA al costato o un colpo con un BECCO, sono immagini letterarie piuttosto vicine. I "classici" dell'antichità potevano chiamare becco la punta affilata di una lancia. I soldati che circondavano la croce di Cristo e lo schernivano, erano chiamati CORVI. Tra l'altro, un'immagine molto appropriata per la scena dell'esecuzione.

Inoltre, nel libro "Lo Zar degli Slavi" abbiamo dimostrato che anche il famoso mito di Prometeo è uno dei riflessi della storia di Cristo. Prometeo fu incatenato a una roccia e un'aquila lo tormentò a lungo con il becco, ogni giorno, lacerandogli il corpo, Fig. 5.16, Fig. 5.17, (ricordiamo che Prometeo fu incatenato da Efesto, Fig. 5.18). È vero, invece di un'aquila, Plutarco parla di corvi, ma pur sempre uccelli. In entrambe le versioni "antiche" si sottolinea che l'"uccello cattivo" tormentò la divinità incatenata per un tempo piuttosto LUNGO. Plutarco scrive direttamente: "per molti giorni di fila". Il corvo è considerato un uccello crudele e malvagio.

 

 

7.6. I FRUTTI DORATI DELLA PALMA CHE CADONO, BECCATI DA UN CORVO, E LE GOCCE DEL SANGUE DI CRISTO CHE CADONO DALLA CROCE.

Plutarco afferma che i corvi staccarono con una beccata i "frutti d'oro della palma" e li gettarono a terra. Presa da sola, una trama del genere sarebbe, ovviamente, difficile da comprendere. Ma nel flusso degli eventi che ora ci stanno diventando chiari, acquisisce immediatamente un significato preciso. A quanto pare, si tratta delle GOCCE DEL SANGUE DI CRISTO, che gocciolarono dalla ferita al costato e che l'Angelo raccolse in una coppa. Questa coppa con il sangue di Cristo fu poi, in testi successivi, associata alla famosa Coppa del Graal, Fig. 5.19. (In effetti, la Coppa del Graal è associata alla nascita di Cristo; ne parleremo nelle prossime pubblicazioni). Le gocce di sangue avrebbero potuto benissimo essere poeticamente chiamate "i frutti d'oro della palma di rame", ovvero "le gocce del sangue di Cristo crocifisso sull'Albero del Calvario".

Inoltre, nel libro "L'inizio della Rus' dell'Orda" abbiamo già incontrato un riferimento simile agli "anelli d'oro gocciolanti" dalla mano del dio Odino = Cristo. Ricordiamo che il dio Odino, presumibilmente una divinità esclusivamente germano-scandinava, è uno dei riflessi di Cristo nell'epopea dell'Europa settentrionale. Odino fu crocifisso sull'Albero della Vita e al suo dito c'era un meraviglioso ANELLO d'oro, il Drepner, OGNI NONA NOTTE DA ESSO CADONO, COME GOCCE, OTTO ANELLI [988:00]. In altre parole, dalla mano di Odino sembrano gocciolare degli "anelli d'oro", e questo accade ogni nono giorno. Molto probabilmente, in una forma molto distorta, la versione nordica ci ha portato informazioni sulla mano destra mozzata di Andronico-Cristo. Vedi i dettagli nel nostro libro "Il Re degli Slavi". Il sangue gocciolava dalla mano mozzata. Il mito ha trasformato le gocce di sangue in "anelli d'oro gocciolanti". Inoltre, le gocce di anello si separavano dalla mano di Odino ogni NONA notte. È possibile che questa forma riflettesse l'usanza cristiana di ricordare i defunti il ​​NONO giorno.

Non a caso la versione di Plutarco sottolinea che i "frutti d'oro caduti" furono STACCATI da un corvo. A quanto pare, "beccare" è ancora la traccia di un colpo o di un taglio sul corpo di Cristo. Inoltre, le parole MORDERE, BECCARE, sono usate direttamente nei Vangeli apocrifi proprio per descrivere il colpo di lancia inferto al costato di Cristo. Ecco, ad esempio, cosa dice il "Vangelo dell'infanzia" arabo: "Giuda si avvicinò e si sedette alla destra di Gesù. E quando Satana cominciò a tormentarlo, come al solito, cercò di MORDERE Gesù, e quando non poté raggiungerlo, cominciò a COLPIRLO AL FIANCO DESTRO, così che Gesù cominciò a piangere. E in quel momento Satana uscì da quel bambino sotto forma di un cane rabbioso. Questi era Giuda Iscariota (Yahudi al-Iscarioti), che tradì Gesù; E IL FIANCO CHE MORSE FU QUELLO CHE GLI EBREI TRAFISSERO CON UNA LANCIA" [307], p.279.

Plutarco è quindi molto vicino a una delle versioni apocrife dei Vangeli.

A proposito, ricordiamo ancora la palma "di RAME" di Nicia. A quanto pare, un'antica tradizione sosteneva che a Gesù Cristo fosse servito "aceto in una coppa di RAME" [307], p. 347. Quindi la parola RAME = CHALKOS, che probabilmente è il nome del monte GOLGOTA, riemerge qua e là nei racconti sull'"antico ateniese Nicia".

 

 

7.7. IL VECCHIO METONE, FINGENDOSI DI ESSERE PAZZO, IMPLORA PIETOSAMENTE DI RISPARMIARE IL FIGLIO E DI DARE FUOCO ALLA PROPRIA CASA. LE PREGHIERE DI CRISTO A DIO PADRE.

Successivamente, Plutarco racconta una storia piuttosto vaga sull'astrologo Metone. Ha un figlio, per il quale il vecchio padre implora pietosamente coloro che gli stanno intorno. Il padre vuole salvare il figlio. Nel farlo, Metone finge di essere pazzo e brucia la propria casa. La struttura degli eventi è la seguente:

Il padre astrologo; suo figlio; la follia; la pietosa supplica per la salvezza del figlio; l'incendio della casa appiccato dal padre.

Di cosa si tratta? Naturalmente, presa da sola, una storia del genere può avere molte spiegazioni. Tuttavia, quando Plutarco la inserisce nella narrazione dell'esecuzione di Cristo, acquista immediatamente senso. Possiamo quindi formulare la seguente ipotesi.

- L'astrologo PADRE Metone è Dio-PADRE. La menzione dell'astrologia probabilmente indicava una connessione con il cielo, le stelle. Gli dei vivono nei cieli.

- Il Figlio di Dio Padre è Cristo, il Figlio di Dio.

- LA FOLLIA. Alcuni testi ebraici definiscono Cristo direttamente un FOLLE. Ecco, ad esempio, quanto affermato in Vav. Shabbat, 104-b. Come notano i commentatori, qui Cristo è chiamato Ben Stada. "Colui che incide sul suo corpo... R. Eliezer (Rabbi Eliezer - Aut.) disse ai saggi: non è forse sul suo corpo che Ben Stada portò la magia fuori dall'Egitto? Gli risposero: ERA FOLLE, e il caso di un FOLLE non può essere citato come prova" [307], p. 316.

Plutarco definì pazzo il padre, non il figlio, ma la parola FOLLIA è posta in diretta connessione con la richiesta specifica del padre rivolta al figlio. Allo stesso tempo, ci imbattiamo nuovamente nella vicinanza di Plutarco al punto di vista ebraico scettico-negativo, che dichiarava Cristo un folle. Inoltre, alcuni testi rabbinici accusavano Cristo di "praticare la stregoneria e tentare Israele" [307], p. 311. Pertanto, invece di accusarlo direttamente di follia, alcuni autori potrebbero evasivamente affermare che Cristo finse solo di essere pazzo, ma era in realtà uno stregone. Cioè, "finse la follia" per i suoi scopi nascosti. Come, in effetti, afferma Plutarco. Dicono che il padre finse solo la follia, ma in realtà era sobrio. Cioè, ingannò coloro che lo circondavano.

- LE PREGHIERE DI PIETÀ DI UN PADRE O DI UN FIGLIO. Plutarco prosegue dicendo che il padre implorò con compassione il popolo di non mandare suo figlio in una spedizione pericolosa. A quanto pare, questo è un riflesso della preghiera evangelica di Gesù a Dio Padre nel Giardino del Getsemani: "Pregò e disse: Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice" (Matteo 26:39). Citeremo anche il racconto rabbinico della preghiera di Gesù a Dio Padre durante il pestaggio di Gesù: "Gesù alzò gli occhi e disse: PADRE MIO CELESTE, io "non morirò, ma vivrò"; "chi mi darà ali come una colomba? Volerò via e riposerò"; «O Signore, ascolta la mia preghiera, e giunga a te il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; nel giorno della mia angoscia porgimi l'orecchio; nel giorno che t'invoco, rispondimi presto; perché i miei giorni si consumano come fumo e le mie ossa bruciano come tizzoni; il mio cuore è percosso e inaridito come l'erba; alla voce del mio RUGGITO le mie ossa si attaccano alla carne»... «Mangio cenere come pane» [307], p.368-369.

Plutarco parla delle preghiere del Padre per il Figlio, mentre altri autori ritenevano, al contrario, che Cristo, il Figlio di Dio, pregasse il Padre. Tuttavia, l'essenza della trama è generalmente la stessa: Padre, Figlio, preghiera.

- LA CASA IN FIAMME LEGATA ALLA PREGHIERA PER IL FIGLIO. IL ROGO DEL GOLGOTA E IL ROGO SU CUI BRUCIA IL RE CRESO. Secondo Plutarco, il Padre implora i suoi concittadini di salvare il Figlio e allo stesso tempo incendia la propria casa. Davanti a noi, ancora una volta, si riflette la storia di Gesù.

In primo luogo, nella versione rabbinica della preghiera di Cristo citata sopra, si afferma direttamente: «LE MIE OSSA BRUCIANO COME TIZZONI... "MANGIO LA CENERE COME PANE"» [307], pp. 368-369. In altre parole, gli autori di questo testo ebraico associarono la morte di Cristo al rogo. Inoltre, misero in bocca a Gesù le parole che le sue ossa furono bruciate dal fuoco, come un tizzone.

In secondo luogo, abbiamo già discusso in dettaglio del fatto che, a quanto pare, il Monte Golgota era anche precedentemente chiamato KOSTROM - fuoco. Vedi il Capitolo 3 di questo libro. Infine, anche l'esecuzione di Re Creso, uno dei riflessi di Cristo, avviene su un enorme ROGO ardente, vedi il Capitolo 3. Pertanto, Plutarco qui segue in realtà l'antica tradizione di presentare l'esecuzione di Cristo come il rogo = croce. È vero, essendosi confuso sui dettagli, decise che il FUOCO FOSSE APPICCATO DAL PADRE. IN NOME DELLA SALVEZZA DEL FIGLIO, avrebbe incendiato la sua casa.

 

 

7.8. IL RITUALE DI SEPOLTURA DEL DIO ADONE, CIOÈ CRISTO.  

Plutarco conclude il suo racconto con la festa di Adone-Dioniso, di cui abbiamo già parlato sopra, quando le donne si battevano il petto, celebrando il rito della SEPOLTURA DEL DIO ADONE. Per cui, alla fine di questo racconto, Plutarco mette in scena l'episodio della morte di Adone-Cristo, come dovrebbe essere secondo la versione evangelica. Ricordiamo inoltre che qui viene menzionato Socrate, che è uno dei riflessi di Cristo [660], v.2, p.224.